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No ai tagli alla difesa. Sì agli investimenti in un settore strategico. È quanto emerge dalle parole del sottosegretario di Stato alla Difesa, in quota Lega, Raffaele Volpi, intervenuto sul tema delle spese militari nel giorno in cui il Corriere della Sera ha riportato del presunto screzio tra il vice premier Luigi Di Maio e il ministro Elisabetta Trenta sul programma di acquisizione dei missili per la difesa aerea Camm-Er. In brusco modo, il primo avrebbe chiesto alla seconda di fermare l’acquisto di munizioni già scelte (dopo attente valutazioni tecniche) e necessarie per garantire la protezione da numerose minacce dal cielo dopo il 2021, quando le batterie di Aspide, già obsolete dopo quarant’anni di onorato servizio, cesseranno la loro operatività.

I NUMERI DEL COMPARTO

Un monito a fare attenzione al comparto è arrivato da Volpi. “Il comparto industriale dell’aerospazio e difesa fattura più di 14 miliardi di euro all’anno, corrispondenti allo 0,8% del nostro Pil, tendenzialmente in crescita, ed è fonte di ricerca ed innovazione”, ha ricordato il sottosegretario, supportato in questo da numerosi studi in materia, compreso l’ultimo realizzato da Ambrosetti-Leonardo. Il settore della difesa, ha aggiunto Volpi, “dà occupazione ad oltre 44mila persone, che salgono a più di 110mila se si considerano anche indotto ed altri impatti indiretti”. C’è poi la questione del gettito fiscale: “Le aziende pagano tasse allo Stato per non meno di 4,5 miliardi; perciò, trattare le spese militari come uno spreco di risorse non ha senso”.

LE ALLEANZE INTERNAZIONALI

“Tutto questo, senza considerare l’export e, dettaglio non trascurabile, la sicurezza che deriva al nostro Paese dall’essere difeso e dal poter partecipare con credibilità ed autorevolezza ad alleanze con altri Stati in una fase storica caratterizzata da diffusa instabilità e pericolo di conflitti”, ha rimarcato il sottosegretario della Lega. Il momento pare opportuno, considerando anche la spinta di Bruxelles a un’integrazione della Difesa europea, con un budget di 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Il rischio è restare tagliati fuori di fronte alle ambizioni di Francia e Germania. D’altra parte, la sponda giusta potrebbe essere con il Regno Unito, anche considerando la special relation che lega Londra a Washington, altro nostro storico alleato (si veda la recente gara vinta da Leonardo, con Boeing, per fornire agli Usa i nuovi elicotteri per la protezione dei siti di lancio dei missili balistici).

LA QUESTIONE DELL’OPERATIVITÀ

Ma oltre alle considerazioni industriali, c’è la questione dell’operatività. Con minacce in continua evoluzione e sempre più sofisticate, l’ammodernamento degli strumenti per la difesa è un’esigenza operativa per le nostre Forze armate, elemento indispensabile per proteggere l’interesse nazionale dentro e fuori i confini. “Siamo orgogliosi di quanto facciamo nel mondo per la pace”, ha detto Volpi. Ma non si può dimenticare “che possiamo farlo anche grazie agli strumenti che la nostra industria produce per i militari schierati all’estero o nelle strade”.

PERCHÉ NON TAGLIARE IL BUDGET PER LA DIFESA

In definitiva, ha spiegato il sottosegretario, “ogni ipotesi di previsione di tagli ai programmi di investimento e di ammodernamento potrebbe generare impatti sull’occupazione e ulteriori oneri sociali a carico dei contribuenti”. In altre parole, è sbagliato considerare la difesa come l’elemento sacrificabile per far quadrare altri conti, proprio perché da questo settore può arrivare una spinta significativa alla crescita del Paese. Tagliare i programmi, ha aggiunto Volpi, si tradurrebbe in “mancato reddito tanto al Nord quanto al Sud, più basso gettito fiscale e minore sicurezza per tutti”.

IN ATTESA DEL DPP

Il momento è delicato, e il presunto raffreddamento tra Di Maio e Trenta testimonia il rischio che la Difesa continui ad essere considerata un bacino da cui attingere. All’interno della compagine governativa, solo dal dicastero Difesa sono arrivati messaggi di attenzione al comparto. Eppure, ha detto Michele Nones, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai), “questo tipo di riconoscimento non si è concretizzato in nessun atto governativo”. D’altra parte, “per quanto riguarda il bilancio della Difesa, è estremamente preoccupante che, ormai arrivati alla fine di settembre, non sia ancora stato fornito dal ministero della Difesa il Documento programmatico pluriennale (Dpp) che abitualmente è resto disponibile a inizio estate. Al momento attuale – ha concluso Nones – quindi, non si conoscono quali sono gli intendimenti della Difesa per quanto riguarda le spese e i programmi del 2019”.

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