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La scelta del passato governo di fare indicare, sui moduli di richiesta della carta d’identità per minori, i convenzionali termini “madre” e “padre” con le espressioni “genitore 1” e “genitore 2” era profondamente ideologica, sia nel senso cattivo sia in quello buono del termine. Era ideologica perché non teneva in nessun conto delle convinzioni della stragrande maggioranza dei cittadini, critici della disposizione ministeriale anche nell’area che votava i partiti di maggioranza.

Ma era ideologica anche nel senso che comunque faceva riferimento, in modo più o meno consapevole, ad una concezione del mondo: per la precisione a quella teoria del gender che tanta fortuna ha avuto negli ultimi anni, e ha ancora, nei campus americani e fra chi ha l’egemonia del pensiero nel mondo occidentale. Secondo questa teoria, l’individuo ha una identità di genere fluida che si costruisce egli stesso come meglio crede oltre ogni vincolo genetico o “naturale”.

In base ad essa, è suo diritto unirsi a chi più crede per allevare la prole, essendo solo, e genericamente, l’amore a giustificare la libera scelta di mettere su famiglia e allevare un figlio. Le coppie omosessuali, ad esempio, possono servirsi della “maternità surrogata”: la madre naturale non fa che offrire loro un “servizio”, ma, espletata la pratica e ricompensata, non potrà accampare poi nessun diritto sul figlio generato.

Che poi con queste idee cada, e anzi venga in sostanza irrisa, la famiglia tradizionale occidentale, ai fautori di queste teorie poco importa. Ed anzi hanno sempre ben pronta una controargomentazione per chi prova a difenderla con solidi argomenti, fossero anche quelli del semplice buon senso. Nulla di male, tutto sommato, se il terreno dello scontro rimanesse nel campo delle idee o delle opinioni, che si confrontano e si scontrano (e solo a volte trovano composizione) nell’agone politico.

Non ci sarebbe da meravigliarsi più di tanto, ad esempio, del fatto che Matteo Salvini, leader di un partito di Destra, e quindi con idee tradizionaliste e conservatrici, si proponga ora di cassare una norma che non può non ritenere, dal suo punto di vista, sbagliata. D’altronde, la triade Dio-Patria-Famiglia non è sempre stata l’architrave della concezione del mondo della Destra? Non ci si potrebbe aspettare altro da essa, a ben pensarci.

Certo, si può non condividere questa posizione, ma in questo caso la democrazia impone di agire in due modi: nella società, cercando di convincere il maggior numero possibile di persone delle proprie “buone ragioni”; politicamente, aspettando le prossime elezioni nella speranza di ribaltare i rapporti politici e imporre di nuovo leggi diversamente atteggiate.

Tutto molto semplice, ma purtroppo, in Italia in verità non da oggi, succede quasi sempre che il dibattito politico venga spostato sul terreno morale, delegittimando alla radice chi non la pensa come noi e considerandolo non degno di parteciparvi. Il che, a ben vedere, suona strano e paradossale nella patria di Machiavelli e della “autonomia del politico”. Ma tant’è! Nel caso specifico, la strategia che si usa fa riferimento all’idea di Progresso, di cui si dà una interpretazione unilineare e univoca.

La storia, secondo questa prospettiva, avanzerebbe costantemente lungo una strada segnata non solo dall’accumulo di conoscenze teoriche e pratiche, ma anche da una continua emancipazione morale. L’umanità, guidata ovviamente dalla sua parte più avvertita (una vera e propria “avanguardia”), conquisterebbe mano mano in modo non più revocabile dei “diritti” da cui sarebbe “incivile” e “immorale” tornare indietro. Si capisce fin troppo bene tuttavia che, se il confronto si sposta su un piano in cui aderire a una posizione è morale e “civile” e aderire all’altra no, il dibattito è viziato all’origine. In questo modo, se ne sia consapevoli o meno, ci si incammina lungo un sentiero che segna la morte sia del libero pensiero, sia della politica.

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Salvini, genitori e gender. Se lo scontro politico si fa morale

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