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Accantonate per un po’ le polemiche sull’antisemitismo in casa Corbyn – che nel frattempo tace, se ne parlerà dopo la pausa estiva! – adesso la dose di prime pagine e accuse è in casa Tory. La differenza è che dall’antisemitismo si è passati all’islamofobia.

Un paio di giorni fa, Boris Johnson, che dopo le dimissioni da ministro è tornato a fare il giornalista del Telegraph, ha scritto un editoriale sul divieto di burqa approvato in Danimarca.
Ma è accaduta una cosa davvero bizzarra: l’ex ministro degli esteri stato etichettato come un islamofobo e un bigotto per essersi schierato in difesa delle donne musulmane che indossano il niqab.

Nella sua rubrica al Telegraph, Johnson ha, infatti, scritto che era sbagliato per la Danimarca vietare il niqab e il burqa nei luoghi pubblici perché lo “stato non dovrebbe dire a nessuna donna adulta che cosa può o meno indossare, in un luogo pubblico, quando lei sta semplicemente facendo gli affari suoi”.
Per Johnson vietare l’abito islamico è un modo per alimentare lo scontro di civiltà. L’ex ministro tory è convinto che la cosa non fa che fornire nuovi alibi all’islam convinto del fatto che l’Occidente sia in guerra con esso. Un discorso largamente sostenuto e approvato dalle correnti più progressiste d’Europa, quasi copiato paro, paro. E allora che cos’è che ha mandato su tutte le furie i liberal inglesi, sebbene Johnson si sia schierato con il diritto delle donne di indossare quel velo che le copre completamente?

Un fascista bordeline, un razzista e un guerrafondaio è così che è finito in prima pagina il conservatore a capo dei Brexiteers, perché oltre a difendere la libertà delle donne di indossare il niqab e il burqa ha espresso avversione per questi indumenti. Ma “non è permesso a nessuno essere anche solo lontanamente critico sull’Islam o sulle sue pratiche nei nostri giorni”, scrivono sullo Spectator. Sulle colonne del Telegraph Johnson ha parlato di “indumenti opprimenti”. Insomma, vestitevi come volete ma a me sembrate “cassette delle lettere”, è stata la versione del ministro che si è da poco dimesso. Aggiungendo anche che le singole istituzioni, le università, per esempio, dovrebbero concedere un margine di libertà per chiedere alle donne che si presentano alle lezioni velate completamente, di rimuovere i loro veli oscuranti, “perché a volte bisogna essere in grado di guardare in faccia qualcuno per potersi impegnarsi con lo stesso”.

La reazione avventata ai commenti di Boris è diventata già l’esempio lampante del fatto che con qualsiasi tipo di giudizio morale sulle pratiche islamiche si correre il rischio di essere bollati come “islamofobi”, razzisti, fascisti.
Un po’ in tutta Europa, aggiungono gli editorialisti inglesi, si sta assistendo al ritorno delle leggi sulla blasfemia. Lentamente, ma inesorabilmente, e in maniera informale, attraverso la furba demonizzazione di chiunque abbia qualche problema con l’islam, “abbiamo eretto un campo di forza morale attorno a questa religione per proteggerlo dalle critiche o dallo scetticismo”, scrive Brendan O’Neil.

Che Johnson possa essere così condannato per aver difeso i diritti delle donne musulmane, mentre critica anche certi punti di vista islamici dimostra quanto sia diventata fredda e spietata la discussione pubblica circa l’islam.
E intanto tra le polemiche si è inserita anche May che ha chiesto al suo ministro di chiedere scusa, con una lettera pubblica al mondo islamico. Un secco ‘no’ è la risposta che ha ricevuto repentinamente.
Secondo il Guardian, comunque, Johnson sta facendo di tutto per agitare le acque e tenere i riflettori puntati sempre su di lui. Cosa in cui, peraltro, già in passato ha dato prova di essere abilissimo. Agitare le acque, dunque, e il clima di un governo che dovrà affrontare un autunno intenso per la Brexit, per aggiudicarsi la leadership del partito conservatore. Il burqa, allora, è solo un paravento per la sua vera missione, scrivono gli avversari politici.

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