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Il nord Africa si surriscalda. A Tripoli si susseguono voci di un attacco contro l’ambasciata americana, chiusa da quattro anni. Nonostante la smentita statunitense, la situazione resta nel caos. Intanto, al Cairo è stato confermato l’arresto di un uomo che ha tentato di colpire con una molotov la sede diplomatica Usa. Nel frattempo, si stringe il cerchio del regime siriano sull’enclave ribelle di Assad, nonostante il monito inaspettato lanciato da Donald Trump all’asse che lega Damasco, Mosca e Teheran. Sull’altra sponda del Mediterraneo, il governo giallo-verde si trova così alle prese con un sfida nuova, quella che riguarda i rischi legati alla “destabilizzazione del nord Africa” (parola di ministro dell’Interno Matteo Salvini).

UN ATTACCO ALL’AMBASCIATA USA A TRIPOLI?

Sulle agenzie di tutto il mondo è rimbalzata la notizia di un incendio che avrebbe coinvolto la sede diplomatica americana a Tripoli, chiusa da luglio 2014 e ormai distaccata a Tunisi. A riportare i fatti è stato per primo il portale di notizie libico Al Wasat, che ha citato il portavoce dell’apparato libico per il soccorso e le emergenze, Osama Ali. Poco dopo, è stata la stessa US Embassy a smentire via Twitter il coinvolgimento: “Il vecchio compound dell’ambasciata Usa a Tripoli non è stato impattato nell’odierno incendio di un serbatoio di carburante, avvenuto nelle vicinanze”. Ad ogni modo, la situazione resta complicata e la capitale sembra ormai piombata in un vortice di caos difficilmente reversibile. Sempre Al Wasat ha fatto sapere che, dopo ore di calma apparente, gli scontri fra milizie “sono ripresi in zone della via dell’aeroporto” e che “le ambulanze non sono riuscite a recarvisi malgrado le richieste di aiuto degli abitanti”.

L’ATTENTATO AL CAIRO

Nel frattempo, il media egiziano Al-Arabiya ha dato notizia di un tentato attacco all’ambasciata americana a Il Cairo. Non ci sarebbero feriti, ma solo l’arresto di un uomo che avrebbe tentato di lanciare esplosivo contro la sede diplomatica. Ancora prima, era stata al Jazeera a riferire di un allarme bomba in via Simon Bolivar, nei dintorni dell’ambasciata Usa, che intanto ha invitato alla cautela. La zona è stata chiusa e sarebbe intervenuto persino gli artificieri. “La Polizia ha finito le proprie indagini sulla scena dell’incidente; l’ambasciata sta tornando al normal business”, ha fatto sapere la sede diplomatica con un tweet. Poco dopo, la nota del ministero dell’Interno egiziano. Si è trattato di “radicalizzato islamico di 24 anni” che ha tentato di lanciare “una rudimentale bottiglia molotov” nei pressi dell’ambasciata statunitense. “I servizi di sicurezza sono riusciti ad arrestarlo quando il suo zaino ha preso fuoco e vi hanno trovato una bottiglia di plastica piena di prodotti chimici infiammabili”. Si tratterebbe di Abdallah Ayman Abdel Samie, residente nel quartiere povero del Cairo, il quale “nutre idee estremiste e voleva utilizzare questo materiale rinvenuto” per compiere “un atto ostile”. Non sono riportati danni o feriti.

UNA SITUAZIONE COMPLICATA

Tutto questo non fa che disegnare una situazione già particolarmente contorta, mettendo il governo italiano di fronte a una ardua prova. Negli ultimi mesi, gli esponenti dell’esecutivo si sono alternati in numerosi viaggi tra Libia, Tunisia ed Egitto proprio al fine di costruire una rete che potesse garantire stabilità. A fine luglio, nell’incontro a Washington, il premier Giuseppe Conte ha poi incassato l’ok statunitense per un ruolo di leadership nel Mediterraneo. Ora, che dietro gli scontri a Tripoli ci sia lo zampino di Parigi poco importa; ciò che conta è sfruttare ora quanto maturato ed evitare che la situazione degeneri. Le parole del ministro dell’Interno Matteo Salvini e del ministro della Difesa Elisabetta Trenta ieri dopo il consiglio dei ministri vanno in questa direzione. “Ora bisogna remare tutti insieme per il bene e la pace del popolo libico”, ha scritto la numero uno di palazzo Baracchini, negando ogni ipotesi di intervento militare italiano. “L’Italia – le ha fatto eco Salvini – deve essere la protagonista della pacificazione in Libia”. Come? Prima di tutto, “la nostra conoscenza degli attori locali in questo senso è molto utile per dare vita a un accordo con i gruppi con cui si può dialogare ed escludere le istanze più estremiste”, ha suggerito su queste colonne l’esperta Michela Mercuri, docente di Paesi mediterranei all’Università di Macerata e autrice del libro Incognita Libia.

L’OFFENSIVA SU IDLIB IN SIRIA

D’altra parte, non bisogna tener conto solo nel nord Africa. In Siria si sta stringendo il cerchio su Idlib, ultima roccaforte dei ribelli che si oppongono alle Forze di Assad. “Quanto sta accadendo in questo ore, con l’inizio dei bombardamenti russi nella provincia di Idlib e la possibile operazione di terra da parte dei governativi, rappresenta un’ulteriore evoluzione del conflitto siriano, giunto ormai nell’ottavo anno”, ha spiegato a Formiche.net l’analista della Nato defense college Foundation Matteo Bressan. Intanto, Donald Trump ha segnato una redline un po’ inaspettata, intimando ad Assad di non intervenire “sconsideratamente” (“recklessly”) e invitando Russia e Iran a non prendere parte all’attacco: “Non permetteremo che questo accada”, ha chiosato il presidente americano. Eppure Mosca non sembra disposta a fare passi indietro, anche considerando la maxi esercitazione navale (con 25 unità navali e 30 aerei) che è in corso nel Mediterraneo orientale e che sembra disegnata apposta per offrire una spalla all’alleato siriano.

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