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Ho aspettato che si chiudessero i giochi e che la vicenda si sedimentasse. Oggi, dopo la conclusione dell’operazione Iveco Defence è opportuno avanzare una riflessione su “Leonardo”, la nostra principale azienda della difesa: sulla sua autonomia, le sue scelte, il suo futuro.

Quando nel giugno 2019 Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia dal 2015 al 2019, fu nominato Chief Technology & Innovation Officer di “Leonardo” per l’indirizzo e la gestione dell’evoluzione delle tecnologie innovative di gruppo, la decisione fu interpretata, almeno da alcuni, come volontà dell’allora amministratore delegato, Alessandro Profumo, di favorire una nuova strategia che puntasse soprattutto sulla digitalizzazione e sulle attività a maggiore contenuto tecnologico. Quando nel maggio 2023, dopo la breve parentesi di ministro della Transizione Ecologica del governo Draghi dal 2021 al 2022, fu, con sorpresa di tutti, nominato dal governo di centrodestra a guida Meloni, amministratore delegato e direttore generale di Leonardo, tutti pensarono, illudendosi, che la volontà del governo, azionista di riferimento del gruppo, fosse quella di rafforzare la trasformazione di “Leonardo” dalle produzioni militari tradizionali a quelle più avanzate, basate su Intelligenza Artificiale e digitalizzazione con una particolare attenzione per cyber e spazio. Come lo stesso Cingolani aveva ripetuto più volte. Non si poteva capire, altrimenti, la scelta di un tecnologo senza alcuna esperienza di gestione industriale, a capo dell’ex Finmeccanica.

Nel 2021 la società aveva previsto la parziale vendita di Oto Melara (e di Wass) per fare cassa e indirizzarsi verso un auspicato mutamento, investendo nei nuovi settori. Ha un po’ stupito, quindi, che dopo aver puntato all’inizio del 2024 su un accordo con la tedesca KMW per produrre insieme una versione italianizzata del carro da battaglia Leopard 2 (il più diffuso fra i Paesi europei), nella scorsa estate si sia passati ad un accordo con la tedesca Rheinmetall per italianizzare il loro progetto per un nuovo carro Panther e per il loro veicolo da combattimento Lynx (ambedue non destinati all’Esercito tedesco). Ma, evidentemente, i nuovi, per altro indispensabili, programmi dell’Esercito italiano hanno spinto “Leonardo” a preferire l’uovo di oggi alla gallina di domani, anche se questo comporterà un maggiore rischio tecnologico e temporale per la nostra Difesa (come già avvenuto col carro Ariete). Cioè, ci ritroveremo, fra un decennio con un carro armato prodotto solo per l’Italia.

All’inizio di quest’anno Wass è stata ceduta a Fincantieri, altra azienda parastatale, per circa 300 milioni che però non basteranno per coprire la metà del miliardo e settecento milioni dell’acquisto, insieme a Rheinmetall, di Iveco Defence Vehicles e Astra a favore di Exor. Ricordiamo tutti la freddezza iniziale di “Leonardo” su un possibile ulteriore impegno nel settore degli armamenti terrestri, vista anche l’aspettativa finanziaria di Exor. Improvvisamente, evidentemente, anche per la pressione politica, ha ceduto finendo col pagare una cifra più alta dei concorrenti, confermando l’anomalia del mercato italiano: un’azienda controllata dallo Stato e appoggiata dal governo finisce con l’essere penalizzata di fronte alle pretese di un gruppo finanziario privato e alla cosiddetta italica sovranità di antica memoria, contraria all’interesse nazionale, perché a scapito di una visione a lungo termine e nel silenzio degli enti preposti al controllo e, non a caso, della politica tutta.

Con buona pace di chi sembrava auspicare la trasformazione della società di Piazza Montegrappa in un gruppo leader europeo nelle tecnologie d’avanguardia e concentrato su un numero più ristretto e sostenibile di prodotti.

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