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Se lo dicono i mercati, allora qualcosa di vero c’è. E in effetti è andata proprio così. Questa sera il commissario europeo per gli Affari Economici, Pierre Moscovici, ha consegnato nelle mani del ministro Giovanni Tria la famosa lettera contenente le correzioni alla manovra, spedita a Bruxelles nella notte tra lunedì e martedì. Dalle voci di corridoio alla semi-certezza il passo è stato breve. A metà pomeriggio lo spread Btp/Bund ha cominciato a infiammarsi, fino a raggiungere il massimo da cinque anni di 325 punti base. Troppo rispetto ai 297 punti di due giorni fa per non far pensare a un’imminente bocciatura. Arrivata.

I toni sono duri. “La Commissione europea ritiene che la manovra presentata dall’Italia indichi un inadempimento particolarmente grave rispetto agli obblighi di politica di bilancio previsti dal Patto di Stabilità e Crescita.  Il bilancio italiano mostra una deviazione senza precedenti nella storia del Patto di stabilità, dovuta ad una espansione vicina all’1% e ad una deviazione dagli obiettivi pari all’1,5%”. La Spagna, a onor del vero, la sua lettera l’ha ricevuta già. Anche i conti di Madrid sono troppo ballerini per far passare sotto silenzio un deficit al 2,8%, 0,4% punti in più dell’Italia.

Il problema è che non c’è solo lo spread e la lettera dell’Ue a preoccupare. Nell’arco della giornata sembra essersi aperto sul governo un fuoco incrociato che dà la sensazione dell’accerchiamento, proprio nelle ore in cui il governo avrebbe bisogno del maggior sostegno possibile per riuscire a contrastare la pressione fortissima di Ue e mercati.

Assolombarda questa mattina ha tenuto un’assemblea infuocata. Il cuore industriale dell’Italia ha detto un sostanziale no alla manovra gialloverde. “Una manovra”, ha attaccato il presidente Carlo Bonomi, “da Paese responsabile dovrebbe non solo accrescere in maniera molto più significativa gli investimenti pubblici. È sul fisco, che avrebbe dovuto essere molto diversa. Ed è innanzitutto su questo che il governo ci ha molto deluso. Noi proponiamo interventi finalizzati innanzitutto a favorire l’attrattività verso l’Italia di investimenti, a esercitare una energica spinta all’autofinanziamento per ripatrimonializzare le imprese, e a favorire gli investimenti di lungo periodo”.

Le critiche degli industriali, alle quali ha risposto il ministro Tria, difendendo la manovra e la sua filosofia, sono state solo l’inizio. Proprio mentre il premier Conte rientrava in Italia dopo il vertice Ue dove aveva ricordato ai presenti che l’Italia non è l’unica sotto osservazione (c’è anche la Spagna), arrivava un’altra chiusura, quella di Jean Claude Juncker, presidente della commissione europea non certo fan dell’attuale gestione dei conti italiani. Il messaggio è semplice: non ci sarà flessibilità per l’Italia. Ora se questo vuol dire rimanere inchiodati al 2,4% o peggio tornare all’1,6% è tutto da capire. Fatto sta che il numero uno della commissione ha dato il via a una raffica di attacchi.

Per esempio il cancelliere sovranista e di destra austriaco, Sebastian Kurz per il quale non è più tempo di comprendere le ragioni dell’Italia. “Non abbiamo nessuna comprensione per le politiche finanziarie dell’Italia, ci aspettiamo che il governo rispetti le regole”. A Kurz si è subito allineato il presidente francese Emmanuel Macron. “Non si tratta in nessun caso di un tema bilaterale” tra Italia e Francia, e “su questo la Francia non da’ lezioni dopo 10 anni passati in procedura per deficit eccessivo”. Allo stesso tempo “la Francia sostiene il rispetto delle regole”.

L'Europa scopre le carte, la manovra va riscritta. E adesso?

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