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La riunione, già ampiamente programmata e pubblicizzata, tra Giuseppe Conte, presidente del Consiglio italiano e Donald Trump, Presidente Usa, è andata, almeno apparentemente, bene.

Entrambi si sono reciprocamente definiti, con un certo comune ed evidente orgoglio, iniziatori di quello che si suole chiamare oggi “populismo”, il che consisterebbe in una lotta contro le élite tradizionali a favore del “popolo”, ma che in effetti appare piuttosto come una lotta tra due diverse frazioni dell’élite globale: la vecchia, che punta ancora sulla globalizzazione e l’altra che, invece, si raduna intorno alla evidente crisi del globalismo e desidera la costruzione di un nuovo mondo multipolare. L’apertura al mercato-mondo è stata, alla fine, meno efficace del previsto: i costi per la distruzione dei posti di lavoro “interni” si sono rivelati maggiori dei guadagni provenienti dal mercato globalizzato.

Trump, che ha ancora bene in mente quello che accade ancor oggi al confine tra Usa e Messico, ha affermato che il lavoro del governo italiano sulla questione dei migranti “è fantastico”. Lavoro italiano che sarebbe “fantastico”, comunque, sia per i migranti illegali che per quelli, pochissimi, legali. Ma Trump ha avuto una grande attenzione per un punto che era in cima all’agenda di Conte, la Libia.

Trump e Conte hanno creato un nuovo “dialogo strategico” tra Usa e Italia sulla Libia, mentre il Presidente Usa riconosce oggi l’egemonia dell’Italia sul Mediterraneo e sulla stabilizzazione della Libia e, poi, dell’Africa del nord.

Tradotto in termini meno generici, Trump dice che diminuirà ulteriormente la presenza americana nel Mediterraneo e delega l’Italia a regolare le tensioni nell’area. Ecco la necessità dell’aumento delle spese per la Difesa da parte del governo gialloverde, tema di cui parleremo.

L’Italia manderà già nelle acque libiche alcune navi militari alla fine di agosto, mentre gli Usa hanno ancora molte navi operative nel Mediterraneo, che non intendono lasciare del tutto.

Tra questa permanenza residuale americana e l’aumento delle operazioni italiane nel Mediterraneo si mette in atto la nuova “cabina di regia” italo-americana.
Ma il vero progetto di Conte è una grande Conferenza Internazionale per la Libia, da tenersi a Roma in autunno, che vedrà gli Stati Uniti come potenza egemone; e permetterà al governo italiano di porsi definitivamente come leader dell’intero processo politico libico.

Conte pensa in effetti a una “cabina di regia” comune tra Italia e Usa, soprattutto per la Libia e per la sicurezza del Mediterraneo. Ma c’è un problema: la differenza dei potenziali bellici, tra americani e italiani.

Poi vi è la diversa valutazione del quadrante mediterraneo per gli Usa, che vedono il Mare Nostrum in collegamento con il Golfo Persico e l’Asia centrale (quindi in contrasto con gli interessi russi) e il contatto infine con l’area di controllo marittimo dei cinesi.

Per gli italiani, invece, forse con una visione ancora un po’ ristretta, il Mediterraneo è l’area nella quale si deve controllare e infine estinguere il mercato dei migranti, evitando le intrusioni dei francesi, interessati a favorire il flusso dei migranti verso l’Europa e quindi verso l’Italia, e il jihad, che si trasmette anche attraverso le grandi migrazioni.

Tutti interessi, quelli francesi e, talvolta, britannici, lontani dai nostri e, spesso, del tutto contrastanti con i nostri obiettivi. Poi, l’Italia ha da tempo giocato tutte le sue carte sul governo di Fayez al Serraj, l’esecutivo “legittimo” secondo l’Onu e quindi, secondo la nostra esperienza, quello più debole, instabile e irrilevante.

Oggi ci sono segnali di un nuovo rapporto con Haftar, ma nessuno dei due governi libici si fida appieno dell’Italia. Sarebbe forse intelligente giocare tutte le nostre carte su Al Serraj, fino a rimanerne gli unici sponsor, per poi giocare da un punto di forza con lo stesso Haftar, che ormai non va più in là del vecchio confine con la Tripolitania.
Come farà l’Italia, poi, a mettersi in contatto con l’area controllata da Khalifa Haftar, ad ovest, un leader che risponde rispettivamente all’Egitto, alla Russia e alla Francia, quella Francia che ha sempre fintamente appoggiato Al Serraj ma ha, fin dall’inizio, messo il service action della sua intelligence al fianco dei militari dell’est, della Cirenaica di Haftar?

L’unione di fatto tra Usa e Italia per la Libia serve, è chiaro, a mettere fuori gioco la Francia e gran parte della Ue, che peraltro poco o niente se ne è occupata. Il sistema franco- europeista ormai avversario strutturale dell’Italia gialloverde di Conte, ma anche alleato della Germania, nemica invece degli Usa di Trump, quella Germania alla quale il Presidente Usa vuol far abbattere il suo surplus sulle esportazioni, maggiore in termini reali perfino di quella cinese. “L’amico lontano”, l’America, da chiamare contro il “nemico vicino”, l’Ue, che è una vecchia e ottima strategia israeliana, ma non sostituisce mai le operazioni dirette contro l’avversario che sta a pochi passi.

La lotta dell’Italia è contro l’Europa “renana”, che vuole ancora il frazionamento dell’area libica; e non si cura affatto delle migrazioni, che non toccano per niente Francia e Germania. Berlino ha in gran parte emigranti provenienti dal Medio Oriente, non tanto dal Maghreb.

Le migrazioni in Italia sono, in effetti, una operazione di “strategia indiretta”: aumentano i costi per lo Stato, diminuisce la massa di operai qualificati, diminuisce anche il potenziale di innovazione delle imprese, che sono costrette di fatto ad assumere, quando assumono, manodopera di migranti, poco qualificata, infine aumentano i costi invisibili della grande migrazione: salute, carcere, sicurezza, mantenimento iniziale dei migranti stessi.

La “cabina di regia” italo-americana mette però l’Ue in una posizione difficile e delicata: è vero che Donad Trump ha affermato che l’Italia giocherà in futuro il ruolo del “facilitatore” tra Usa e Ue, ma l’Italia è tanto debole nell’Unione Europea quanto è invece forte nel legame bilaterale con gli Usa “populisti” di Trump. Il Tap, il gasdotto che gli Usa favoriscono contro le linee gasiere controllate nel Nord Europa dalla Russia e dai suoi Paesi “amici” è il regalo di nozze che Trump chiede all’Italia.

Linea decisamente anti-russa del gasdotto, evidente, ma arrivo in un’area già elettoralmente delicatissima per il governo attuale italiano, che ha preso molti voti proprio dai movimenti anti-Tap, fortissimi nel Salento, che sono decisi alla lotta senza quartiere.

Il Movimento 5 Stelle deciderà di perdere la faccia e l’elettorato della Puglia per saldare l’amicizia con gli Usa, mentre Trump chiede il sostegno governativo al Tap come “prova d’amore” del governo italiano?

E, ancora, sarà utile il sostegno al Tap del governo gialloverde in rapporto alla Federazione Russa, che dovrebbe diventare un supporter della Nuova Italia “sovranista”?
Temo che, se l’attuale governo non sceglierà fin dall’inizio con quale dei due padroni vorrà andare, si troverà molto male, come accade proprio all’Arlecchino goldoniano.
Peraltro, la questione russa è al centro, malgrado tutto, del nuovo “contratto” tra Conte e Trump.

Le sanzioni Ue contro la Russia sono fortemente penalizzanti per l’economia italiana, che ha diminuito del 70% le sue esportazioni verso Mosca, con una perdita di oltre 200mila posti di lavoro e una caduta del 25% del turismo russo in Italia.

Conte vuole una assicurazione, e magari un appoggio, per diminuire le sanzioni verso la Federazione Russa, ma magari potrebbe saltar fuori un sostegno italiano al Tap, che è nato per contrastare il North Stream tra Russia e Germania, in cambio di una diminuzione delle sanzioni antirusse degli Usa.

Ma allora, se l’Italia è legata al fronte anti-russo con l’accordo Conte-Trump, come sarà il comportamento di Putin sul piano internazionale? Certo non favorevole, e capace comunque di farci molti danni, e selettivi.

Ma, ritornando alla Libia, il patto Usa-Italia per far uscire il Paese maghrebino dal caos politico e militare prevede una continua consultazione tra i ministri della Difesa e degli Esteri italiani e americani.

Ma, per questo, Conte è del tutto certo di poter favorire agli Usa gli scambi commerciali su tutto il continente europeo? Temiamo piuttosto che i nostri partner Ue non vedranno di buon grado l’intermediazione italiana della Ue verso i mercati statunitensi, mentre, magari, il nostro deficit commerciale con gli Usa rimane intatto e il loro con Washington viene attaccato. “Gli interessi delle aziende italiane non verranno toccati”, dice Trump, il che, fra l’altro, sembra oggi piuttosto credibile.
L’export italiano in Usa vale, oggi, proprio nell’era Trump, 40,5 miliardi di euro/anno.

L’interscambio complessivo vale 55 miliardi. Ma le importazioni dagli Usa verso l’Italia sono oggi al livello di 15 miliardi di euro. Dal 2009 al 2017 l’export italiano negli Usa è aumentato del 139%, contro un aumento del 58%, nello stesso periodo, delle esportazioni Usa verso l’Italia. Export, quello italiano verso gli Usa, spesso consistente in auto e beni “alto di gamma”.

Se Trump tassa le auto straniere, la Fca, che importa circa metà delle vetture che poi invia negli Usa, potrebbe essere colpita da una tassa del 20-25%, come quella pensata dalla amministrazione Trump, il che farebbe diminuire i profitti della Fiat-Chrysler in un range da 616 fino a 866 milioni. E questo vale solo per le automobili. Ma il Presidente Usa vuole colpire, insieme agli altri, il surplus commerciale dell’Italia con gli Stati Uniti, che è di circa 36 miliardi di Usd.

È un attacco implicito, ma forse involontario, alla strategia di Paolo Savona, che sta raccogliendo i surplus della nostra bilancia dei pagamenti per trasformarli in attivi verso la Ue.

Peraltro, c’è anche la questione delle spese militari, che il Presidente americano vuole far aumentare, per tutti gli Stati europei della Nato, fino al 2% annuo.

Ma se spendiamo il 2% previsto, è molto probabile che “sfonderemo” ipso facto il rapporto deficit/Pil definito dalla Ue, e bollato a suo tempo da Prodi, come “stupido”.
Allora, come potremmo essere mediatori unici ed efficaci tra la Ue e America del nord?

Molte luci e molte ombre, quindi, sul nuovo rapporto privilegiato tra Usa e Italia. Speriamo che tutto vada per il meglio.

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