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La cinese Huawei ha superato la Apple per vendita di smartphone a livello mondiale nel secondo trimestre, piazzandosi seconda appena dietro alla sudcoreana Samsung, nonostante un generale calo del mercato (dell’1,8 per cento).

Huawei ha consegnato 54,2 milioni di telefoni nell’ultimo trimestre, il 41 per cento in più rispetto all’anno precedente (il dato è fornito dalla società di ricerche di mercato Idc, ma sostanzialmente confermato anche IHS Markit, Counterpoint Research e Canalys): il gigante delle telecomunicazioni rappresenta il 16 per cento del mercato, contro il 21 della Samsung e il 12 della Apple. Xiaomi Corp. e Oppo, entrambe con sede in Cina, hanno completato la top five.

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La Bloomberg la mette così: la scalata consolida “l’ascesa dei concorrenti cinesi”, ma sono cinque parole che aprono un mondo, perché dietro all’enorme confronto a tutto campo, anche commerciale, che gli Stati Uniti di Donald Trump hanno ingaggiato con la Cina ci sono anche situazioni come queste.

I produttori di smartphone cinesi stanno guadagnando influenza man mano che il loro mercato interno cresce e si espandono all’estero; Huawei ha spinto in Europa e in Africa. “L’importanza di Huawei che sorpassa Apple in questo trimestre non può essere sopravvalutata”, spiega nell’analisi dell’agenzia newyorkese, Ben Stanton, analista senior di Canalys, perché questo è da sempre un trimestre debole per Apple (in realtà è stato piuttosto buono, ma è vero che l’annuncio di nuovi prodotti arriva negli ultimi tre mesi dell’anno, e per questo sono quella e la prima dell’anno successivo le trimestrali forti per l’azienda di Cupertino).

Tuttavia è la prima volta in sette anni che Samsung e Apple non hanno mantenuto le prime due posizioni: “E l’esclusione di Huawei dagli Stati Uniti l’ha costretta a lavorare di più in Asia e in Europa per raggiungere i suoi obiettivi”, aggiunge Stanton. Il riferimento va a un’iniziativa normativa con cui il governo americano ha proibito ai dipendenti di alcuni dipartimenti sensibili – difesa, esteri, intelligence – di acquistare prodotti Huawei perché, secondo le analisi dei tecnici delle agenzie americane specializzate, quegli smartphone avrebbero potuto contenere backdoor nei propri software dalle quali i servizi segreti cinesi sarebbero potuti entrare per compiere attività di spionaggio negli Stati Uniti.

E dalla proibizione specifica (seguita pure da Australia, Regno Unito e Canada) si è poi passati a sconsigliarli a livello generale. Inoltre, all’inizio di quest’anno i legislatori – quasi sempre con azioni più o meno bipartisan – hanno esplicitamente chiesto alla Alphabet di bloccare le collaborazioni di Google con Huawei, e hanno fatto pressioni per fermare all’ultimo un contratto di partnership tra la cinese e l’azienda di telecomunicazioni americana TNT, perché considerato un tentativo di penetrazione nel mercato statunitense (con interessamento al mondo delle reti).

Una delle ragioni per cui gli americani hanno aperto il confronto con i cinesi è legata allo sbilancio commerciale, ma tra le motivazioni profonde c’è uno scontro nei settori della tecnologia che saranno nodi chiave per i prossimi anni, dall’intelligenza artificiale, al mondo delle comunicazioni, soprattuto il sistema dati 5G. Inoltre gli americani denunciano i collegamenti tra le aziende cinese, teoricamente private, e il governo di Pechino: Huawei nega da sempre questi link.

Nelle ultime ore diversi media americani (per prima la Bloomberg) hanno pubblicato indiscrezioni a proposito di una prossima mossa dell’amministrazione americana contro la Cina: il presidente avrebbe riunito i falchi per studiare come sparare una nuova ondata di tariffe commerciali contro un set di prodotti cinesi del valore di 200 miliardi di export – c’è un catalogo dei bersagli già pronto da inizio luglio.

Lo scopo potrebbe essere del tutto simile a quanto visto con l’approccio negoziale su Corea del Nord e probabilmente adesso Iran: dare una scossa, con una mossa aggressiva, per stimolare (o piegare?) il propri interlocutore – i trade talks tra Washington e Pechino, andati avanti per varie settimane e diversi round nei mesi scorsi, sono attualmente in stallo, fermi “a zero”, come ha spiegato il Wall Street Journal.

Nella capitale cinese ieri si è riunito il Politburo, e la situazione economica è stata al centro delle discussioni: Pechino sta pensando a forme di ammortizzamento interno per quelli che definisce “notevoli cambiamenti nell’ambiente esterno”. L’indice sulla produzione manifatturiera Caixin è ai minimi da otto mesi, la previsione di crescita dovrebbe rallentare di 0.3 punti rispetto alle previsioni di inizio anno.

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