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Più o meno tra 24 ore l’Europa boccerà per la seconda volta la manovra italiana. Non che ci fossero particolari dubbi, ma arrivare all’anticamera della procedura di infrazione, in un Paese fondatore dell’Unione fa un certo effetto. L’Italia è in tutto e per tutto fuori dal Patto di stabilità, perché il suo deficit è lontano anni luce dai parametri di bilancio comunitari. E i mercati se ne sono accorti. Il fatto che il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno, abbia detto apertis verbis che il restyling della manovra spedito il 13 novembre a Bruxelles non abbia fugato i dubbi circa la sostenibilità del debito italiano, è poco più di un esercizio di stile.

Perché adesso, se la partita politica con l’Ue sembra ormai chiusa (salvo clamorosi ripensamenti sulla procedura, ma è davvero poco probabile), quella coi mercati è appena iniziata. Lì sta il vero problema, anche perché come dice Confindustria, l’Italia continua a non crescere. Perché se i mercati cominciano a convincersi (e forse lo stanno già facendo) che Bruxelles ha ragione sul nostro conto, allora sono dolori, di quelli forti. Primo e più grande problema, lo spread. Da questa mattina il differenziale Btp/Bund viaggia in pianta stabile sopra i 320 punti base, dopo aver toccato i 335 a metà mattinata. Valori mai raggiunti, se non per qualche minuto, lo scorso 19 ottobre. Segno che gli investitori che ci comprano il debito a suon di aste, stanno prendendo seriamente in considerazione la fuga in vista dell’Outlook di domani della commissione Ue. Nel frattempo si limitano a chiedere interessi maggiorati per sottoscrivere titoli di Stato, facendo salire poco a poco lo spread. Giovanni Tria, ministro dell’Economia, ha detto questa mattina di “essere preoccupato” per l’andamento dello spread. E fa bene.

A rendere ancora ancora più difficile la situazione è che il differenziale rimane su livelli elevati ormai da mesi. Ci fosse stata un’impennata, sarebbe stato il classico shock, forse anche più facile da gestire. Così invece è solo un lento logoramento del debito sovrano, con ripercussioni a onda lunga sull’economia reale, a cominciare dai prestiti bancari. Il caro spread inizia a impattare sui tassi dei mutui e dei prestiti alle imprese. Ad ottobre 2018, ha fatto sapere l’Associazione bancaria poco fa, si è registrato un incremento “non ancora molto accentuato” dei tassi di interesse sulle nuove operazioni di finanziamento, “risentendo dell’aumento dello spread nei rendimenti dei titoli sovrani”. Il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni è risultato pari a 1,87% (1,80% a settembre 2018) mentre quello sui nuovi finanziamenti alle imprese è risultato pari a 1,60% (1,45% il mese precedente). Si vedrà che cosa emergerà dal bollettino di novembre.

Mercati a parte, aria di profezie invece, per non dire scongiuri, dalle parti della Bce. Per Daniel Nouy, a capo del meccanismo di vigilanza unico, “le banche italiane hanno fatto tanto per ripulire i propri bilanci e potenziare la loro posizione patrimoniale, sarebbe molto triste se finissero per subire le conseguenze del dibattito politico, anche se queste sono cose che accadono. I problemi per le banche greche sono iniziati proprio da discussioni a livello politico. Incrociamo le dita, posso dire solo questo”. Non è finita qui, purtroppo. Tanto per cominciare Confindustria ha fatto sapere che anche nel quarto trimestre la crescita rimarrà una chimera: “l’Italia resta debole anche nel quarto trimestre: piatto il canale estero, cresce poco la domanda interna e i mercati finanziari restano in attesa”. L’associazione degli industriali rileva persino un paradosso. Si parla di manovra espansiva ma si tagliano le gambe a chi la crescita dovrebbe sorreggerla, ovvero le imprese.

“Imprese non finanziarie, banche e assicurazioni sono contributrici nette della manovra: per il 2019 il totale degli interventi previsti toglierà risorse alle aziende per oltre 6 miliardi di euro”, si legge nella Congiuntura del Centro studi diretto da Andrea Montanino. “Ciò penalizza la competitività e rischia di frenare la crescita, già in evidente rallentamento, rendendo ancor più complesso raggiungere l’ambizioso obiettivo di espansione del Pil nel 2019 indicato dal governo”.

C’è poi un altro e ultimo indicatore che dà la cifra del momento. Il Btp Italia, in linea teorica un simbolo dell’affidabilità del nostro debito. Ieri è stato il primo giorno di emissione, dei tre complessivi. Ma le cose non sono andate come dovevano. I risparmiatori italiani non hanno mostrato finora particolare interesse verso il Btp Italia che è in collocamento per il retail fino a domani. Ieri la raccolta ordini si è fermata sotto la soglia dei 500 milioni di euro, numeri che preoccupano in prospettiva. Oggi l’importo finora collocato è di circa 170 milioni di euro. Altra giornata di domanda fiacca. E non è una buona notizia.

 

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