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Si è spesso convinti che tutto ciò che genera un valore economico abbia anche un prezzo, e che questo prezzo rifletta quindi il valore che il bene o il servizio ha. E si è anche spesso convinti che il prezzo delle cose sia giusto, calcolato in modo tale da riflettere il valore reale di ciò che è stato prodotto. Un prezzo che tiene conto del lavoro e delle risorse impegnate, dei costi di trasformazione e di trasporto. Ma è realmente così? Come si formano i prezzi? Come è possibile giungere alla determinazione di un prezzo “giusto” per l’economia, l’ambiente e la società?

I prezzi si formano nel mercato, ovvero il luogo figurato di incontro tra domanda e offerta di beni e servizi. I consumatori esprimono la loro domanda tramite gli acquisti e la loro conseguente disponibilità a pagare, i produttori definiscono la loro offerta ed il prezzo al quale desidererebbero vendere i prodotti. L’incontro tra domanda e offerta determina il prezzo di equilibrio, che è dunque il risultato delle scelte di consumatori e produttori, ognuno dei quali tende a massimizzare ciò che in termini economici viene chiamata la propria utilità.

Tuttavia, spesso il mercato fallisce nel determinare un prezzo che tenga nella giusta considerazione i costi che i processi di produzione e consumo hanno sull’ambiente o sulla società. Questi sono costi per così dire ‘nascosti’ o ‘esterni’ al mercato: in gergo economico, si parla, infatti, di esternalità, cioè l’insieme degli effetti, negativi o positivi, causati da un’attività di produzione o di consumo di un soggetto, nei confronti del benessere di un altro soggetto, senza che chi subisce tali effetti riceva una compensazione o paghi un prezzo. Nel caso in cui l’attività generi effetti positivi si parla di esternalità positive, mentre se gli effetti sono negativi si parla di esternalità negative.

A tale fallimento del mercato gli economisti ricondurre molte delle problematiche ambientali; i danni causati all’ambiente nella maggior parte dei casi non vengono compensati, così come non vengono considerati dal mercato i benefici che l’ambiente apporta all’economia e alla società in termini di risorse e non solo (si pensi alla crescente rilevanza dei servizi ecosistemici). È per questo che il mercato, da solo, non funziona, e l’intervento pubblico si rende necessario ed opportuno per ‘internalizzare’ questi costi nascosti. Il policy maker ha a disposizione diversi strumenti, tra cui tasse e sussidi ma anche standard e sistemi di emissions trading.

Un esempio di tassazione è la carbon tax, che prevede che ogni tonnellata di anidride carbonica emessa da combustibili fossili sia soggetta a una tassazione con aliquota fissata dal governo. L’obiettivo è quello di creare un meccanismo di compensazione dei danni causati dall’inquinamento alla società, ed in particolare dei danni legati all’immissione di gas clima alternati in atmosfera. Alcuni scienziati dell’Università di Standford stimano che il costo sociale del carbonio sia di 200 dollari per tonnellata, mentre stime più conservative si attestano sui 50 dollari.

Tuttavia, adottare una carbon tax in un solo paese può generare il “carbon leakage”, ovvero lo spostamento delle emissioni da un paese (o settore) che ha introdotto regole più stringenti, verso paesi, per così dire, meno attenti all’ambiente. Per contrastare questo fenomeno l’Unione Europea ha adottato nel 2023 un meccanismo (il Carbon Border Adjustment Mechanism) di aggiustamento dei prezzi dei beni importati che consiste nell’applicazione di una tassa sul carbonio sulle importazioni importazioni, ereggendo dunque un muro difensivo che eviti di importare carbonio da altri Paesi.

Risultati simili possono essere raggiunti attraverso l’introduzione di opportuni sistemi di incentivi per eliminare le esternalità negative, compensando i produttori tramite sussidi per ridurre le quantità prodotte di un determinato bene. Un esempio è il meccanismo introdotto dalla PAC 2023-2027 che prevede l’obbligo, per accedere ai contributi, di destinare ogni anno il 4% dei terreni a riposo per le aziende seminative di più di 10 ettari. Questa misura ha l’obiettivo di aumentare la biodiversità, migliorare la qualità del suolo e ridurre l’erosione, tutti servizi ecosistemici, ovvero benefici apportati dalla natura all’uomo.

Un approccio più mercatista prevede l’introduzione di diritti negoziabili alla creazione di esternalità negative, tramite la predeterminazione di un ‘livello ottimo di inquinamento’ e l’assegnazione tramite aste, dei diritti o permessi a produrre tali esternalità. Un esempio è il meccanismo introdotto dall’Unione Europea degli Emissions Trading Systems (Ets), ovvero il sistema di scambio di quote di emissioni (di gas a effetto serra) che prevede l’assegnazione da parte dei governi di permessi alle aziende ad inquinare entro un certo livello, assicurandosi, in questo modo, che il livello massimo di emissioni non superi complessivamente una certa soglia e stimolando gli investimenti in tecnologie produttive meno inquinanti.

Tutti questi meccanismi servono a internalizzare (quindi rendere visibili) i costi e i benefici “nascosti” al mercato, in modo da tenere in considerazione gli effetti negativi per tutta la società dei danni ambientali così come quelli positivi della natura. Tuttavia, non ci si può fermare qui! Lo stato di salute dell’ambiente rende sempre più necessaria l’integrazione del più ampio concetto di sostenibilità (sociale, economica ed ambientale) nel meccanismo di formazione dei prezzi, abbandonando approcci neoclassici ed utilitaristici, per abbracciare una prospettiva olistica imperniata sul Life Cycle Thinking – un’analisi di ciclo di vita di un prodotto o servizio che metta in luce tutti i costi relativi alla produzione, compresi i costi ambientali e sociali. Affinché un prodotto sia sostenibile è necessario, infatti, che non vi sia sfruttamento dei lavoratori e che i processi produttivi non causino danni al benessere delle persone e della società.

Il Life Cycle Thinking consente di individuare le fasi produttive a più alto impatto ambientale e sociale, favorendo interventi specifici laddove è più necessario, dal design del prodotto al suo smaltimento. Tutto questo, ovviamente, ha delle ricadute sui prezzi che dovremo pagare per i beni e servizi che acquistiamo. Ma forse può convenire fare qualche passo indietro in termini di ‘diritti dei consumatori’ per riguadagnare terreno sui diritti sociali ed ambientali.

Ecco che cosa è il vero giusto prezzo. L'analisi di Morone e Frieri

Di Piergiuseppe Morone e Francesca Frieri

I prezzi si formano nel mercato, con i consumatori che esprimono la loro domanda tramite gli acquisti e la loro conseguente disponibilità a pagare. L’incontro tra domanda e offerta determina il prezzo di equilibrio, che è dunque il risultato delle scelte di consumatori e produttori, ognuno dei quali tende a massimizzare ciò che in termini economici viene chiamata la propria utilità. Tuttavia, spesso il mercato fallisce…

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