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Qual è il segreto della comunicazione persuasiva? Essenzialmente la predisposizione ad accogliere il messaggio da parte di chi lo deve ricevere. Soprattutto se si tratta di un messaggio che fa appello alle nostre paure più profonde. Per capirci: se io sono convinto che il quartiere in cui abito è teatro di una quantità inusuale di atti delinquenziali, e dunque vivo con la perenne preoccupazione che mi possa accadere qualcosa di brutto, mi sembrerà assolutamente veritiera l’informazione che mi dica che un’orda di barbari assassini si è insediata nel portone di casa da cui a questo punto è meglio che mi tenga alla larga. Sulla verifica dell’autenticità di quel che mi viene detto sarò meno rigoroso: farà fede la conferma da parte di una fonte esterna cui attribuisco un’attendibilità proprio perché dice quello che io penso e temo.

Si chiama “Fear appeals”, appello alla paura, procedura notissima nella comunicazione politica moderna a partire da Goebbels, tristemente noto ministro della propaganda nazista. Si può dire che le campagne elettorali epocali abbiano poggiato su questo quando hanno abbandonato il registro più ragionato, ma meno empatico, dei programmi. Perché la procedura funzioni occorre che la gravità della minaccia abbia che fare con l’esperienza personale di chi riceve il messaggio, vi sia una percezione della probabilità che si verifichi ed esista l’offerta del rimedio. Il tutto deve reggersi su uno schema semplificato: da una parte noi, i buoni, dall’altra loro, i cattivi. E deve essere anche circoscritto nel tempo: giusto la durata di una campagna elettorale, perché troppo a lungo non funziona.

Mi scuso per il richiamo a concetti di psicologia sociale che i lettori troveranno scontati, ma sono forse necessari per capire lo scenario in cui si svolge l’azione politica delle ultime settimane. I sondaggi danno il Salvini che chiude i porti e manda “in crociera” i profughi dell’Aquarius condiviso almeno dal 60% degli italiani. Che vuol dire? Forse che gli italiani sono poco solidali e destrorsi per vocazione? Io penso che più semplicemente stia funzionando, in modo quasi da antologia, l’appello alla paura. Certo, funziona anche la contrapposizione ad una politica europea che ha scaricato sulle nostre spalle un carico insostenibile poggiato sull’ineludibile soccorso umanitario. C’è, probabilmente in sovrappiù, un giudizio di insufficienza di politiche nazionali mal comunicate e mal percepite, anche quando qualche effetto concreto lo davano, come nel governo Gentiloni. Ma campeggia su tutto la paura, madre di tutte le campagne elettorali. E Salvini è in campagna elettorale, non c’è dubbio. Ma il suo stare sopra le righe e dentro le piazze ad arringare il popolo potrà durare per tutta la legislatura? No di certo, perché prima o poi bisognerà governare. A meno che non si tratti di una legislatura breve, molto breve. E tutto questo non fosse che l’epifania di efficaci strategie elettorali.

europa, erdogan, salvini

Phisikk du role - La lunga campagna elettorale di Salvini

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