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Il motivo ideologico e le ambizioni geopolitiche hanno indubbiamente il loro peso, ma non bisogna dimenticare che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha almeno un’altra buona ragione per montare il sentimento anti israeliano e anti semita della popolazione turca: le elezioni del 24 giugno.

In quella data il popolo della Mezzaluna verrà chiamato alle urne per scegliere sia il nuovo capo di Stato sia il nuovo Parlamento. L’obiettivo di Erdogan è quello di conquistare il 50% più uno dell’assemblea e la rielezione alla carica più alta della Repubblica senza dover ricorrere al secondo turno, fissato per l’8 luglio.

L’impresa, questa volta, è particolarmente difficile, soprattutto per un motivo. Nonostante i dati rassicuranti sulla crescita del Pil, che nel primo trimestre 2018 ha fatto segnare un +7,4% rispetto a quello precedente, l’economia turca non è più quella di una volta. Di certo, non è quella che ha garantito al presidente le maggioranze plebiscitarie degli ultimi 16 anni e consultazioni vinte senza grande sforzo.

Il dato più importante e preoccupante, soprattutto per gli imprenditori, è la svalutazione della lira turca, la moneta nazionale, che solo nell’ultimo mese ha perso circa il 20% del suo valore sul cambio con euro e dollaro, toccando i livelli record di 5,22 e 4,41. Per un Paese come la Turchia, che ha un export ad alta intensità di importazione e come maggiori motori della crescita economica ha il consumo interno e il mercato immobiliare è tutto fuorché una buona notizia.

Gli stipendi si sono svalutati, gli imprenditori, soprattutto quelli che esportano, iniziano a risentire della situazione. L’inflazione è in aumento e il mercato immobiliare potrebbe implodere da un momento all’altro. Polveri pericolose e nemmeno tanto sottili, che il Presidente sta continuando a buttare sotto il tappeto, parlando di un Paese prospero e che sta investendo in modernità e infrastrutture. Sul secondo punto, non ci sono dubbi. La Turchia è un cantiere unico. Sul primo, però, i dubbi abbondano. Nonostante gli investimenti fatti, la Turchia non è certo il paradiso delle nuove tecnologie e, particolare non di poco conto, non ha nemmeno risorse naturali come gas e petrolio.

Con un quadro come questo, a Erdogan stavolta conviene puntare la campagna elettorale anche su altro e non vi è nulla in Turchia in questo momento che compatti la popolazione come il motivo anti-curdo e quello anti-israeliano.

La mossa del presidente va quindi letta anche alla luce di una ricaduta interna a scopo meramente elettorale. Che poi Erdogan abbia ambizioni di grande riferimento internazionale per l’Islam sunnita, questo è noto da tempo. Ma prima deve essere certo di rimanere in sella in casa sua.

Erdogan

La polvere sotto il tappeto di Erdogan

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