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“Il Papa chiede per la prima volta cambiamenti strutturali, anche nell’economia. C’è tutto un mondo della finanza cattolica che dice: noi possiamo essere morali. Perché l’economia di per sé è neutra. Giovanni Paolo II parlò di struttura di peccato, Francesco invece, dicendo che questa economia uccide, pone una domanda di cambiamento strutturale”. È il messaggio lanciato da Andrea Tornielli, vaticanista de La Stampa e coordinatore del sito Vatican Insider, presentando a Roma, presso la Società Dante Alighieri, il testo edito da Rizzoli “Il Cristianesimo al tempo di Papa Francesco”, volume che raccoglie interventi di numerosi esperti della Chiesa e curato da Andrea Riccardi.

FRANCESCO E IL GRIDO PER UNA BUONA ECONOMIA

“Migrazioni, terza guerra mondiale a pezzi, povertà: sono temi tutti interconnessi, e non ci si può non porre una domanda seria e politica sulle guerre scellerate che siamo andati a fare, come in Iraq”, ha chiosato Tornielli, spiegando che quello di Bergoglio “non è un no pacifista, ma un richiamo a guardare alle conseguenze, e vedere come abbiamo guardato a quei paesi pensando di esportare la democrazia. Questo è il grande punto di contrasto tra il Papa e cosiddetti poteri forti, come la finanza. Dove si annida poi la vera opposizione al Papa, perché ad alcuni dà molto fastidio sentirlo parlare con insistenza di traffico di armi, guerre, povertà”.

Il giornalista infatti, nelle scorse settimane e assieme ad altri economisti ed esperti come Jeffrey Sachs, Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti e Mauro Magattiha presentato il progetto “Quadragesimo anno” in cui vengono proposti percorsi operativi per un sistema di certificazione in accordo con l’insegnamento sociale della Chiesa. Un piano decisamente innovativo che cerca di dimostrare, con una proposta a lungo termine, di ampio respiro e centrata su azioni tangibili, che una finanza a servizio dell’uomo è possibile. Anche perché “il vero cambio di paradigma è la capacità di prendere sul serio la testimonianza che lui dà”, ha spiegato lo stesso Tornielli nel corso dell’intervento.

LE IPOCRISIE DI UNA CHIESA CHE VIVE COME UN APPARATO

Asserzione che assume ancora più valore nel momento in cui si guarda alla Chiesa come istituzione. Dove si nota cioè che in realtà non ci sono state grandi riforme, e dove si sta vivendo un periodo di delusione, ha spiegato lo stesso Tornielli. Ma dove il problema si annida proprio nell’approccio che si assume nei confronti della predicazione del pontefice. Che non a caso, nel portare avanti la sua riforma, prima di un cambiamento di struttura chiede innanzitutto una conversione morale, interiore.

“Se prima per scalare cariche istituzionali bisognava usare espressioni chiave come valori non negoziabili o lanciare appelli contro il preservativo, adesso la situazione è esattamente la stessa, ma con la differenza che bisogna usare la parola poveri o aver fatto volontariato”, ha affermato il giornalista. “La tendenza degli apparati è infatti quella di metabolizzare tutto e mettere dentro lo stesso frullatore. Così l’uso di quei termini diventa un mood, il messaggio diventa uno slogan e si finisce per essere autoreferenziali. Non c’è il tentativo di discutere, accogliere, seguire il messaggio del Papa, ma il tentativo di appiccicargli addosso una propria agenda”.

L’OPZIONE BENEDETTO, LA CHIESA TEDESCA E IL VANGELO DI FRANCESCO

Un’agenda che mostra cioè di non comprendere la visione evangelica di Francesco, l’unica che il pontefice ha veramente in testa e che porta avanti. E considerato che, ha proseguito il vaticanista durante il dibattito, “l’opzione Benedetto risulta inadeguata per i tempi che stiamo vivendo, per vivere la metropoli”. Perché “l’annuncio del Vangelo passa dalla disponibilità ad ascoltare, in un mondo dove il modello è quello del talk show, ma dove manca qualcuno che ti ascolta, di un Dio che invece di giudicarti ti dice che vai bene così come sei”.

Mentre invece per quanto riguarda il caso tedesco, ovvero la richiesta da parte dei vescovi tedeschi di una cosiddetta “ospitalità eucaristica”, la possibilità cioè di concedere la comunione a un protestante che assiste alla messa insieme al coniuge cattolico, “Francesco ha detto di trovare un risultato unanime, quindi evidentemente tenendo presente anche i pareri contrari. Perché la Chiesa ha un forte bisogno di essere unita. Invece è stata subito bollata come una cessione, e non solo da parte dei giornalisti iper-clericali ma anche di cardinali”, ha spiegato Tornielli. Perché la verità di cui tenere conto è che “il Papa non sarà ricordato per riforme della curia o per aver fatto cardinali dai luoghi sconosciuti, ma per una capacità di testimoniare il Vangelo unendo parole a gesti”.

IL RAPPORTO CON L’OCCIDENTE E LA CRISI DELLE ISTITUZIONI

Di bilanci sui cinque anni di pontificato in ogni caso se ne sono già fatti molti, e partendo dalle angolature più differenti. Una di queste, ad esempio, prende in considerazione il rapporto dello stesso Bergoglio con la cosiddetta “religione delle emozioni”, sempre più diffusa nel tempo in cui viviamo. “Interessante capire come si colloca Francesco nei confronti di questa”, ha affermato il direttore di Limes Lucio Caracciolo. Specificando però che “il punto non è evidentemente solo lì, perché c’è in gioco tutto un rapporto con l’Occidente, e ci sono gli Stati Uniti d’America”.

Va poi soprattutto considerato che “oggi sono in crisi le chiese stabilite perché sono in crisi le istituzioni”. E “la Chiesa cattolica è anche istituzione: nessuno prima di Francesco aveva infatti veramente rinunciato a quella forma costantiniana prodotta dall’Editto di Milano”. Il giornalista, a proposito, ricorda quando nel lontano 1993, partecipando a un convegno con il cardinale Achille Silvestrini, quest’ultimo “fece un elogio della geografia, esattamente il contrario dell’espressione di Francesco in cui si dice che il tempo è superiore allo spazio”.

LA DIMENSIONE TERRITORIALE E TRADIZIONALE DELLA FEDE

Già infatti dal nome “Papa Francesco è un ossimoro, e il fatto che nessuno si fosse mai chiamato così non è un caso”, ha proseguito Caracciolo. E “quando parla di chiesa povera lo fa in senso ampio e spirituale e non banale del termine. Ma diventando Francesco mette in questione il suo stesso mestiere. Anche parlare di peccato del clericalismo, delegittimando l’istituzione di cui è il capo, è molto interessante, perché legittima anche le critiche. E sentire cardinali che criticano apertamente e continuamente il Papa è sicuramente qualcosa di nuovo e inaspettato” .

Questo per giungere alla conclusione che “non si può però immaginare che la Chiesa come istituzione possa sopravvivere rinunciando alla dimensione dello spazio, inteso come terra e territorio. Ogni progetto futuro ha bisogno di tradizione: non si può immaginare di far finta che quello che si è accumulato nei secoli non conti o conti poco”.

LA FINE DEL PAPATO EUROPEO E IL CATTOLICESIMO NELLA CULTURA GLOBALE

Ma “nel novecento il cattolicesimo era la religione del mondo moderno ma antagonismo, oggi c’è invece anacronismo, che però può essere anche profezia”, ha invece affermato durante il suo intervento il presidente della Società Dante Alighieri Andrea Riccardi. “Francesco è il primo Papa non europeo che segna la fine del papato europeo, fatto cioè di azione pastorale, pensiero e governo, e che viene rimesso in discussione in un tempo post-ideologico. Per due secoli la Chiesa ha lottato contro la secolarizzazione che veniva dalla rivoluzione francese e che è scristianizzazione. Oggi però bisogna guardare a un mondo globale. Dov’è questo cosiddetto mondo post-cristiano? Se andiamo nelle periferie di San Paolo, di Buenos Aires o in Africa, vediamo un pulviscolo di chiese cristiane. Al massimo è un mondo post-cattolico”.

Nel quadro del mondo globale “questo cattolicesimo riesce a creare una cultura?”, è la domanda messa in luce in conclusione da Riccardi. Che ha poi affermato che, a suo parere, “gli orientamenti politici che emergono da molti paesi, come nelle Filippine, nei paesi dell’Europa dell’est o in Italia, non sono quelli del Papa”. Nel ritrarre un cristianesimo di popolo, ha infine affermato Riccardi, “Amoris Laetitia è un elemento chiave, perché ritrae una dimensione di coscienza, compiendo un passo oltre il Concilio Vaticano II”. E la domanda è: “Le strutture della Chiesa possono reggere di fronte a questa trasformazione?”.

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