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Lo spread è su un’altalena. Più volte ha varcato la soglia dei 300 punti. Un film già visto, secondo il vicepremier Matteo Salvini, che sottovaluta sia l’indice differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e i titoli di Stato tedeschi, sia la valutazione delle agenzie internazionali di rating. “Indietro non si torna. […] Al centro dell’attenzione del governo c’è il lavoro, che è un’emergenza in Italia, perché se la gente non lavora il Paese non cresce, se più gente lavora, paga più tasse, consuma di più e il debito pubblico tornerà a crescere dopo una salita di anni. […] C’è la vita reale e la vita virtuale”, ha dichiarato Salvini.

Reali però sono anche i conti. In una conversazione con Formiche.net, Ferdinando Giugliano, editorialista di Bloomberg e Repubblica, già editorial board del Financial Times, ha spiegato quali potrebbero essere gli scenari del futuro finanziario dell’Italia.

È stata annunciata la cifra del deficit: 2,4%. Come interpreta la reazione dei mercati?

I mercati hanno reagito male. Lo spread con i bund tedeschi resta intorno ai 300 punti base e credo sia difficile che possa scendere in maniera marcata nei prossimi mesi in assenza di un cambio di rotta. Piuttosto, l’Italia è oggi in una situazione di estrema vulnerabilità. Qualsiasi shock a livello globale potrebbe far aumentare ancora i rendimenti sui nostri Btp.

Lei aveva scritto che ci sono altri motivi, oltre quella cifra, che potrebbero/dovrebbero spaventare gli investitori stranieri e farli fuggire dall’Italia. Quali sono e perché?

Prima di tutto c’è un aspetto simbolico. Negli scorsi mesi gli investitori avevano riposto grande fiducia nel ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Per settimane i giornali hanno scritto (senza essere mai smentiti) che Tria avrebbe voluto un rapporto deficit/Pil per il 2019 all’1,6%, o al massimo all’1,9%. Quando è diventato evidente che il rapporto deficit/Pil sarebbe salito al 2,4%, la credibilità di Tria ne è uscita notevolmente scalfita. Oggi è chiaro a tutti che la politica economica del governo è fatta, principalmente, dai vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. E questo è un cambiamento significativo.

Inoltre, a preoccupare gli investitori è la composizione della manovra – sbilanciata verso la spesa corrente invece che sugli investimenti – e i suoi effetti nel tempo. Al momento non c’è un piano di rientro nel medio periodo verso il pareggio di bilancio. E le misure sulle pensioni potrebbero danneggiare notevolmente la sostenibilità di lungo periodo del sistema previdenziale.

Secondo lei, la situazione finanziaria attuale è più o meno pericolosa di quella che nel 2011 portò alla caduta del governo di Berlusconi? C’è rischio che questo governo non durerà?

Per l’eurozona è sicuramente meno pericolosa. Il rischio di un contagio tra Paesi è fortemente diminuito dopo la promessa di Mario Draghi di fare “tutto il possibile” per salvare l’euro e la conseguente creazione di una rete di salvataggio per i Paesi in difficoltà. I titoli di Stato spagnoli e portoghesi hanno risentito in maniera minima dell’aumento dei rendimenti sui Btp.

Per l’Italia la situazione è meno pericolosa nella misura in cui il nostro governo sia pronto a utilizzare le reti di sicurezza previste dalla zona euro, ad esempio il fondo salva-Stati, e che però richiederebbero un programma di aggiustamento. In assenza della volontà politica a utilizzarli, allora l’Italia rischia di non avere un “backstop” che rassicuri gli investitori in caso di crisi di fiducia.

Il governo è il frutto di una strana coalizione tra due forze elettoralmente antagoniste. Durerà fino a quando questo matrimonio di convenienza converrà a entrambe. Ovviamente, degli shock esterni, come quelli sui mercati, potrebbero influire su questo calcolo.

Quali possono essere, secondo lei, le conseguenze sociali e finanziarie del reddito di cittadinanza?

Dipende da chi lo riceverà e da come verrà amministrato. Se dovesse premiare principalmente evasori totali (che appaiono dunque al fisco come nullatenenti) sarebbe percepito come un sussidio ingiusto. Se non dovesse essere accompagnato da una profonda riforma dei centri per l’impiego, potrebbe essere visto come un incentivo a non far nulla. Detto questo, ci sono ottime ragioni per aiutare le fasce più deboli della popolazione italiana, soprattutto per quanto riguarda i più giovani. Non mi aspetterei però effetti macroeconomici significativi in termini di spinta alla crescita.

Che impatto hanno i discorsi di probabili nazionalizzazioni e quel timore di “un’altra Venezuela” di cui si parla tanto nelle ultime settimane per via dei conti (ultime dichiarazioni dell’ex premier Matteo Renzi, per esempio)?

La gestione del crollo del Ponte Morandi a Genova è stata molto preoccupante. Gli investitori hanno visto che il governo è disposto a ignorare i contratti e il principio del giusto processo per ragioni politiche. Si tratta di un segnale sbagliato, soprattutto in un Paese come l’Italia che fa già fatica a attrarre capitali dall’estero.

Va detto, comunque, che la voglia di rafforzare il ruolo dello “Stato imprenditore” e di rendere più difficili le acquisizioni dall’estero è diffusa nello spettro politico. Quello di Lega e 5 Stelle è principalmente un cambio di passo, non di direzione.

Che misure può mettere in atto il governo per evitare quella “tempesta finanziaria” di cui molti parlano?

Cambiare in maniera radicale la legge di Bilancio, riducendo il disavanzo per il 2019, accelerando il percorso di riduzione del deficit e sostituendo i piani di maggiore spesa corrente con programmi di investimento. Ovviamente, si tratta di una scelta che la Lega e il Movimento 5 Stelle al momento non vogliono compiere, perché si tratterebbe di sconfessare completamente il contratto di governo e le loro promesse elettorali.

Così l’Italia può riconquistare la fiducia (perduta) degli investitori stranieri

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