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Hamas ha annunciato la morte di Essam al-Dalis, capo del suo governo nella Striscia di Gaza, ucciso nell’ondata di raid israeliani che ha colpito diverse strutture e funzionari del movimento nelle scorse ore. Secondo un comunicato, tra le vittime figurano anche Mahmud Abu Watfa, capo del ministero dell’Interno, e Bahjat Abu Sultan, direttore generale dei servizi di sicurezza interna. “Questi leader, insieme alle loro famiglie, sono stati martirizzati dopo essere stati direttamente colpiti dagli aerei dell’occupazione sionista”, si legge nella nota. Al-Dalis era stato eletto nel marzo 2021 nel bureau politico di Hamas a Gaza e ne aveva assunto la guida amministrativa nel giugno dello stesso anno – era da tempo nel mirino dello Stato ebraico.

Israele ha ripreso le operazioni militari nella Striscia con una serie di raid aerei massicci, colpendo obiettivi che le Israeli Defense Forces e lo Shabak hanno identificato come strutture operative e quadri dirigenti di Hamas. L’offensiva è iniziata nella notte tra lunedì e martedì, esattamente due mesi dopo l’accordo di cessate il fuoco e scambio di ostaggi mediato dagli Stati Uniti attraverso l’amministrazione Biden, e con il sostegno della nuova amministrazione Trump. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas (ma più volte dimostratosi affidabile in passato), circa 200 palestinesi sono rimasti uccisi nei bombardamenti – diversi sono bambini – aggiungendosi ai circa 48000 morti prodotti da quando Hamas ha dichiarato guerra con l’attacco del 7 ottobre 2023, scatenando la risposta violentissima israeliana.

Il ritorno al conflitto da parte di Israele si lega ufficialmente allo stallo delle trattative sul cessate il fuoco. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca l’ha spiegato così ad Axios: “Hamas avrebbe potuto rilasciare ostaggi per prolungare il cessate il fuoco, ma invece ha scelto il rifiuto e la guerra”. La scorsa settimana, i funzionari di Donald Trump, guidati dall’inviato speciale Steve Witkoff, hanno cercato di estendere la tregua (secondo le fasi previste dal piano iniziale) e presentato una proposta alle parti. Ma i colloqui, ospitati sempre a Doha (che dall’inizio del conflitto fa da piattaforma diplomatica), si sono conclusi senza una svolta e con la Casa Bianca che ha detto che Hamas ha respinto la proposta.

Israele avrebbe notificato gli Stati Uniti prima di lanciare la nuova ondata di bombardamenti. Una fonte diplomatica israeliana spiega riservatamente a Formiche.net che Hamas avrebbe approfittato dalle tregua per riorganizzarsi e preparare “nuovi attacchi contro di noi”. I pianificatori militari, grazie alle informazioni di intelligence ricevute, hanno osservato con costanza e discrezione queste dinamiche e preparato azioni rapide da avviare all’evenienza. L’esecutivo israeliano avrebbe approvato i piani di attacco già la scorsa settimana, mancava solo il semaforo verde ai caccia.

Il governo Netanyahu fa sapere che è pronto a estendere queste operazioni, denunciando la malafede del gruppo palestinese, che a sua volta però accusa Israele di non aver mai voluto l’avvio di un reale percorso di pacificazione e aver fatto saltare tutto. La riapertura del fronte interno a Israele avviene in un momento delicato, che potrebbe complicare di nuovo le dinamiche regionali.

Gli Stati Uniti hanno avviato una nuova campagna aerea contro le milizie Houthi nello Yemen, con Trump che ha personalmente tirato in ballo l’Iran, collegato ai ribelli yemeniti e accusato dal presidente americano di essere il reale dante causa di ciò che è accaduto nel Mar Rosso – dove gli Houthi hanno avviato, oltre un anno e mezzo fa, una fitta serie di attacchi contro i navigli occidentali in solidarietà con Hamas e i palestinesi, poi interrotta durante la tregua e ora in ripartenza.

Nel quadro attuale, gli Houthi rappresentano l’unica forza militare regionale ancora in grado di infliggere danni rilevanti a Israele, e se la guerra nella Striscia ripartirà a ritmi sosteniti gli yemeniti potrebbero aumentare anche gli attacchi diretti allo Stato ebraico. Lo step-up americano in Yemen si potrebbe legare dunque non tanto alla necessità di stabilizzare la situazione nelle rotte indo-mediterranee tra Europa e Asia (che tocca solo parzialmente gli interessi americani), ma al degradare le capacità militari degli Houthi anche in protezione israeliana.

Va infatti considerato che la guerra nella Striscia ha avuto un’espansione regionale che ha coinvolto altri gruppi jihadisti sciiti – tutti collegati all’Iran – come i libanesi di Hezbollah, che però hanno subito gravi perdite dirette nello scontro al confine israeliano. Resta da capire adesso se anche Hezbollah o le milizia sciite che si muovono ancora tra Siria e Iraq avranno sfruttato la tregua per riorganizzarsi e la riapertura dello scontro a Gaza sarà occasione per nuove azioni sincronizzate contro Israele. Un contesto che vede l’equilibrio regionale precario.

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