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Stiamo “finendo il nostro studio sui  dazi sulle auto dalla Ue, che si è approfittata a lungo  degli Stati Uniti nella forma di barriere commerciali e tariffe [doganali]” ha scritto il presidente americano, Donald Trump, in  un tweet: “Alla fine, tutto sarà equo e non ci vorrà  molto”. Suona come una minaccia (e forse lo è) il messaggio che la Casa Bianca lancia all’Europa, un tempo fulcro dell’Occidente transatlantico, concetto che almeno sul commercio è stato stracciato dal presidente americano dell’America First nel Dna.

Il contesto è il confronto continuo con cui Trump vorrebbe riequilibrare i vari deficit di bilancio sofferti dall’economia statunitense negli scambi con vari paesi, dalla Cina a diversi alleati europei. La commissario Ue al Commercio, Cecilia Malmströem, ha immediatamente risposto invitando alla calma: “Non sappiamo quando finirà l’indagine Usa sul settore auto, probabilmente in autunno, la scorsa settimana ci sono state audizioni, e ci sono grandi critiche anche in seno agli Stati Uniti (per esempio, diversi congressisti non hanno posizioni troppo allineate con quelle dell’amministrazione al momento, ndr), quindi vedremo cosa succederà”.

Malmströem ha precisato che per il momento è prematuro pensare a una lista preparata di contromisure commerciali con cui ricambiare eventuali dazi americani sul settore automotive, e ha ricordato che i media hanno riportato la notizia secondo cui addirittura l’intenzione del settore auto tedesco è quella di lavorare per l’abbattimento delle barriere doganali in entrambe le sponde dell’Atlantico, e sottolineato che l’argomento era stato messo sul tavolo dai negoziatori europei se gli americani avessero fatto un passo indietro sulle tariffe su acciaio e alluminio – questione che ha dato il la al confronto i giorni precedenti all’inizio del G7 canadese che ha segnato la spaccatura dell’asse occidentale e che la commissario ha definito oggi “illegale e non conforme alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio”.

Sempre su Twitter, Trump è anche passato su un argomento collegato: la vicenda della ditta di motociclette Harley Davidson. L’azienda di Milwaukee, in Wisconsin (stato in cui Trump ha vinto di misura alle presidenziali) è stata sottoposta ai contro-dazi europei (aumentati dal 6% al 31% come per altri prodotti, dai tessili al bourbon alle barche e ai motori per barche al burro di arachidi oltre naturalmente a quelli in acciaio e alluminio, per un  valore totale di 2,8 miliardi di euro) e aveva annunciato ieri l’intenzione di trasferire lontano dagli Usa la produzione delle moto destinate all’Europa – un modo per aggirare le misure decise dall’Ue, visto che gli aumenti si ripercuoterebbero sui costi in un mercato come quello europeo da 40 milioni di pezzi l’anno. Trump ha minacciato la Harley, avvisandoli che la fuga dagli Stati Uniti – mentre “le aziende stanno tornando” – significherebbe incorrere in dover sottostare a tariffazioni speciali decise da Washington per poter vendere nel mercato americano.

Oggi di dazi ha parlato anche Luigi Di Maio, leader della prima forza di governo in Italia, il M5S, vicepremier e ministro di Lavoro e Sviluppo economico. “Non dobbiamo avere paura di affrontare in Unione europea il tema dei Dazi per proteggerci e questo non vuol dire isolarsi”, ha detto Di Maio, ricordando che “come Italia, con un sistema produttivo così particolare, dei prodotti così unici” questo significherebbe “cominciare ad aprire i rubinetti con paesi che ci rispettano economicamente e rispettano le nostre specialità, ma chiudere i rubinetti con altri paesi che non rispettano le nostre specialità e rappresentano una minaccia con i loro prodotti a basso costo”.

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Di Maio, Harley Davidson e i dazi di Trump

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