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La geopolitica dei gasdotti continua a dominare il dibattito politico-energetico non solo europeo. Il controllo delle interconnessioni e delle rotte di transito è divenuto infatti sempre più strumento di cooperazione o di scontro politico-economico, oltre che meramente commerciale. Un tassello in questo intricato scacchiere è il progetto di gasdotto Turkish stream che, a partire dalla fine del 2019, dovrebbe veicolare il gas russo verso l’Europa centrale e intorno al quale, neanche a dirlo, si scontrano interessi russi, turchi e statunitensi nella partita energetica europea.

Il progetto venne lanciato nel 2014 in risposta alla cancellazione del progetto di gasdotto South stream che avrebbe dovuto portare il gas russo verso l’Europa, evitando il transito dall’Ucraina. Progetto che fu affossato da numerosi ostacoli: le irrisolte questioni regolatorie tra Gazprom e Bruxelles, le pressioni statunitensi sui Paesi di transito (Bulgaria su tutti), il deterioramento delle relazioni tra Russia e occidente dopo lo scoppio del confitto ucraino quello stesso anno. La fine del South stream avvia, seppure tra alti e bassi, una nuova fase nella cooperazione tra Mosca e Ankara basata sulla realizzazione di un collegamento off-shore tra la città russa di Anapa sulla costa del Mar Nero e la città turca di Kiyikoy nella regione della Tracia. Il progetto, meno ambizioso del suo predecessore, si compone di due linee per una capacità di 15,75 miliardi di metri cubi ciascuno (in totale, quindi, 31,5 miliardi di metri cubi): la prima per veicolare il gas al mercato interno turco, la seconda diretta a quelli europei dell’area sud e sud-est. L’intesa russo-turca si basa su un obiettivo comune: assicurarsi una via privilegiata per approdare al mercato europeo del gas.

Nel caso della Russia, ciò si traduce nel rafforzare la sua leadership in Europa aprendo una nuova rotta meridionale che bypassi l’Ucraina, da cui transita attualmente larga parte delle sue esportazioni. Indebolire sino ad azzerare questa via significa ridurre drasticamente le entrate dell’Ucraina derivanti dalle royalties e di conseguenza il suo potere politico e negoziale. Per la Turchia, significherebbe aumentare la disponibilità di metano a copertura della crescente domanda interna e rafforzare il suo ruolo di hub metanifero verso Europa. Non dissimile a questo disegno strategico è il progetto del Nord stream 2, la seconda linea che dovrebbe affiancare il già operativo Nord stream 1 per veicolare il gas russo verso l’Europa in vista della scadenza dei contratti di fornitura con l’Ucraina nel 2019.

In questo contesto, anche gli Stati Uniti fanno valere la propria posizione, osteggiando apertamente entrambi i progetti che mal si conciliano con gli interessi commerciali e politici di Washington volti, da una parte, a penetrare nel mercato europeo del gas con le già avviate esportazioni di Gas naturale liquefatto (Gnl); dall’altra, a contenere la dipendenza energetica europea da Mosca specie dei Paesi dell’est Europa quasi interamente ostaggi delle forniture russe.

E l’Europa? È indubbio che l’implementazione dei progetti russi dovrebbe garantire forniture dirette e più stabili all’Europa centro-occidentale, evitando il rischio di nuove tensioni russo-ucraine. Tuttavia, il rafforzamento della quota di mercato del gas russo per l’Ue – che già si attesta intorno a un terzo del totale dei suoi consumi con punte del 100% in alcuni Stati – contrasta con l’obiettivo di diversificazione degli approvvigionamenti volto ad aumentare la sicurezza energetica del continente, quel che invece sarebbe consentito dall’incremento della quota Gnl da Paesi come Stati Uniti e Qatar.

Non solo, la questione evidenzia tutte le contraddizioni alla base della Energy unione la difficoltà di far convergere gli interessi dei singoli Stati membri verso un unico e più ampio interesse comunitario. I due schieramenti che si contrappongono sono ben rappresentati, da una parte, dalla Germania, che ha tutto l’interesse a consolidare il legame energetico ed economico con Mosca, al di là delle sanzioni che le sono comminate e, dall’altra, dalla Polonia che interpreta un simile scenario come una minaccia, promuovendo altre opzioni per aumentare la sicurezza energetica nazionale quali la Norvegia (Baltic pipe) e gli Stati Uniti (Gnl).

E poi c’è l’Italia, proiettata verso lo sviluppo delle ampie risorse metanifere del Mediterraneo per acquisire un ruolo centrale di snodo energetico nel sud Europa. Un simile obiettivo sarebbe fortemente depotenziato dalla realizzazione a nord del gasdotto Nord stream 2, che rafforzerebbe il ruolo della Germania, e a sud del Turkish stream, che consoliderebbe quello della Turchia che non avrebbe alcun interesse a valorizzare le risorse del Mediterraneo. In entrambi i casi l’Italia ne verrebbe fortemente danneggiata nelle sue aspirazioni di divenire hub del gas verso il nord Europa.

Chiara Proietti Silvestri, analista di politica ed economia dell’energia presso il Rie, ricerche industriali ed energetiche

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Di Chiara Proietti Silvestri

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