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Quante volte mi è stato chiesto: “Com’è il generale Graziano, tu che ci hai lavorato?”. Domanda impegnativa, perché dovevo in poche parole provare a descrivere come avevo percepito una persona che, solo guardando ai tempi recenti, è stato nell’ordine Comandante di Unifil 2 in Libano, capo di Gabinetto del ministro della Difesa, capo di Stato maggiore dell’Esercito, capo di Stato maggiore della Difesa, chairman del Comitato militare della Ue e, infine, presidente di Fincantieri: un gigante.

Allo stesso tempo, una domanda facile, avendo io vissuto alle sue dirette dipendenze uno dei momenti più gratificanti della mia carriera, quello nel quale ho lavorato alla definizione del Modello professionale dell’Esercito italiano, Modello che porta la firma di Claudio Graziano, allora colonnello.

Proprio in quei mesi, esaltanti ma concitati, ho conosciuto nel generale Graziano un modello di leadership al quale ho sempre poi cercato di ispirarmi.

Claudio Graziano è stato il superiore, in assoluto, che mi ha lasciato la maggiore libertà d’azione, capace di controllare senza opprimere, anche nei momenti di maggiore stress; esigente, ma allo stesso tempo protettivo nei confronti dei suoi collaboratori.

Chiedeva lealtà e la ricambiava con l’affetto.

Questa sua caratteristica non è cambiata nel tempo, avendola ritrovata intatta quando da capo reparto, allo Stato maggiore dell’Esercito prima e allo Stato maggiore della Difesa dopo, ho avuto il generale Graziano come capo di Stato maggiore.

Potrei raccontare cento episodi e non ce n’è uno dal quale non abbia tratto insegnamento.

Alcuni anni fa, parlando agli Allievi che si accingevano a lasciare a fine corso la Scuola militare, li esortai a cercare nella vita i buoni Maestri affermando: “Li potete riconoscere perché sono duri, sono esigenti e non fanno sconti, ma troveranno sempre il tempo ed il modo per parlarvi, per consigliarvi, per indirizzarvi”.

Mi manchi già, caro Maestro, carissimo Claudio, mio Generale.

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