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Il tema della famiglia è senza dubbio un tema di importanza vitale per la Chiesa Cattolica, oggi, e Papa Francesco, tornato di recente dall’Incontro mondiale di Dublino, questo lo sa bene. Nonostante nelle ultime giornate di cronaca la questione degli abusi tra il clero cattolico sembra farla da padrona, dall’affaire Viganò in poi, sconvolgendo non poco i sacri palazzi. Tanto da fare tuonare il pontefice, appena tornato a Santa Marta dopo la pausa estiva, contro i “cani rabbiosi” che “cercano soltanto lo scandalo” e “la divisione”, riprendendo il passo del Vangelo di Luca (Lc 4, 16-30) in cui Gesù, tornato a Nazareth, venne accolto con sospetto. Meglio la verità, che è “mite” e “silenziosa”, e per questo scegliere “l’unica strada da percorrere”, quella cioè del “silenzio” e della “preghiera”, ha spiegato con voce grave Bergoglio.
Una vicenda, quella del monsignore varesino ex nunzio a Washington, che ha prima accusato il Papa di avere coperto il cardinale arcivescovo colpevole di abusi McCarrick e poi di avere mentito nel modo in cui è stata riportata la vicenda dell’incontro con la funzionaria americana anti-omosessuali Kim Davis, che ha messo in secondo piano il tema della famiglia, ragione principale della visita di Bergoglio a Dublino. Passata però in primo piano per le ripetute richieste di perdono del pontefice alle vittime irlandesi di quegli abusi che hanno profondamente scosso la comunità cattolica del Paese. Di tutto questo Formiche.net ne ha parlato con don Paolo Giulietti, per gli amici “il vescovo dei giovani”, vescovo ausiliare di Perugia e a lungo direttore del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei, che in quei giorni si trovava in Irlanda in veste di relatore sul tema dell’esortazione apostolica di Francesco Amoris Laetitia.

Papa Francesco è andato in Irlanda per parlare di famiglia, ma i temi toccati sono stati diversi. Quali sono stati i passaggi più determinanti a suo giudizio, le note principali di questo viaggio?

Mi ha colpito il protagonismo delle famiglie, di cui è stata mostrata la bellezza, la capacità di accogliere e far esprimere ogni suo componente, la ricchezza di risorse per la società e per la comunità cristiana. Le parole di Papa Francesco, i contenuti approfonditi nel Congresso Pastorale e i tanti segni che hanno costellato i due giorni della sua visita hanno evidenziato tale verità.

Molti sostengono che la famiglia oggi è in pericolo. Il Papa più volte in passato lo ha detto. Qual è l’azione e la testimonianza che la Chiesa nella sua totalità sta portando avanti, su questo tema?

L’Amoris Laetitia, riprendendo e arricchendo il magistero precedente, ha invitato le coppie e le famiglie a vivere con sempre maggiore consapevolezza il loro essere sacramento dell’amore di Dio, cioè realtà capace di farlo intuire e di concretizzarlo in gesti di donazione e di perdono. La Chiesa ha il compito di sostenerne il cammino, tenendo conto della concreta situazione di ciascuno di esse. Molto si è fatto negli ultimi anni in tale direzione, ma molto rimane ancora da fare.

Travolto dalle questioni di pedofilia, una buona parte del messaggio del Papa si è centrato sulla richiesta di perdono. Questo Francesco probabilmente l’aveva messo in conto fin dall’inizio. Tuttavia, a suo giudizio, il tema ha offuscato la forza di quanto la Chiesa avrebbe potuto e ha da dire sulla famiglia, oggi?

Indubbiamente a livello mediatico l’accento posto su questo tema ha di fatto collocato in secondo piano diversi aspetti assai significativi – in positivo – della manifestazione. C’era forse da aspettarselo, ma mi domando se una gestione più accorta della comunicazione non avrebbe sortito risultati migliori.

Gli occhi dei più critici erano puntati sull’intervento del gesuita americano James Martin. Si dice che nei vari incontri si sia parlato molto del rapporto tra la Chiesa e il cosiddetto mondo Lgbt, tanto che alcuni hanno prefigurato l’idea di una sorta di cantiere per una pastorale Lgbt. Da parte sua, Martin, ha toccato il tema della castità. Lei, che ha fatto un intervento proprio su Amoris Laetitia, come risponde a questa ricostruzione?

Il mio intervento ha riguardato aspetti assai differenti. Comunque ritengo che la questione di una pastorale più attenta alle persone omosessuali sia seria, ma assai marginale, rispetto alla necessità di una pastorale in grado di rendere le famiglie protagoniste della vita della società e della Chiesa.

Le voci più maligne sostengono che la visita sia iniziata in un contesto di freddezza, nel senso dell’accoglienza del popolo irlandese all’evento. Lei che clima ha trovato?

Non mi è parso che gli irlandesi abbiano manifestato freddezza nell’accogliere Papa Francesco. Nonostante i tentativi di chi voleva far fallire la visita, la Chiesa e il popolo d’Irlanda hanno vissuto l’Incontro Mondiale delle Famiglie con impegno nella preparazione e con intensità nella partecipazione.
Il primo ministro irlandese ha chiesto al Papa una vera e propria riparazione sul tema degli abusi, e Francesco, umilmente, non si è certo tirato indietro.

Quello che c’è stato in Irlanda, e non solo, ha provocato una vera e propria ferita. Come rimediare, scardinando questo cancro sociale che da ormai molti anni ha attecchito anche nella Chiesa? Da dove ripartire?

Innanzitutto va precisato che il “cancro” in questione ha intaccato non solo la Chiesa ma molte altre istituzioni, anche se i media parlano quasi solamente di ciò che accade negli ambienti ecclesiali. Si tratta davvero di un fenomeno sociale di ampie proporzioni, per combattere il quale non servono strumentalizzazioni ideologiche, ma l’impegno di proporre soprattutto ai giovani una visione corretta della sessualità, decisamente orientata al dono di sé nella libertà e nella responsabilità. Mi pare difficile debellare le deviazioni in materia sessuale, se si continua a diffonderne una visione ludica, deresponsabilizzante e fondamentalmente egoista. Punire esemplarmente i colpevoli servirà a poco, come in altri campi del vivere civile, se non si interviene sulle cause profonde del disagio.

Nel corso dell’ultima giornata, domenica, è poi uscita sui giornali la preoccupante lettera di monsignor Carlo Maria Viganò. Qualcuno voleva far fallire il viaggio del Papa?

Mi pare evidente, sia nella tempistica che nel contenuto. Il no comment di Papa Francesco mi è parsa davvero la risposta più eloquente.

A ottobre ci sarà il Sinodo dei vescovi sui giovani. Lei per tanti anni si è occupato di pastorale giovanile, e non a caso c’è chi la chiama amichevolmente “il vescovo dei giovani”. Cosa ha da dire ai giovani oggi la Chiesa, e cosa le chiedono invece i giovani?

La Chiesa ha da offrire ai giovani la possibilità di dare un senso alla propria vita, ma tale operazione può avere successo solo se essa si riscopre tutta chiamata a prendersi cura di loro, senza deleghe in bianco e senza comodi “ghetti”. I giovani chiedono alla Chiesa di essere presi sul serio, aprendo spazi di vero protagonismo, con la disponibilità a lasciarsi trasformare dalla loro passione e dal loro entusiasmo.

L’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput ha addirittura rivelato di avere chiesto al Papa di annullare il Sinodo sui giovani, spiegando dal suo punto di vista che in questo momento i vescovi non avrebbero alcuna credibilità a parlare di questo argomento. Come si sente di rispondere?

Rispetto evidentemente il suo punto di vista, ma ho un’esperienza di segno assai diverso: i giovani attendono che i vescovi si interessino di loro, che si facciano loro vicini, che propongano e testimonino loro ragioni affidabili di vita e di speranza. L’ho constatato camminando con i nostri giovani verso Roma, proprio lo scorso agosto, in occasione dell’incontro con Papa Francesco.

papa francesco, sinodo

Il Papa, gli scandali e la forza dei giovani. Parla il vescovo Giulietti

Di Francesco Gnagni

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