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Francamente non giurerei sul fatto che le elezioni europee si terranno solitarie e non in combine con le politiche, se tutti gli strappi di questi cinque mesi e la voce grossa di Salvini vogliono dire qualcosa. Ma non c’è dubbio sul fatto che l’appuntamento col voto europeo, anche se si tenesse appaiato con quello parlamentare, dilagherebbe nel dibatto italiano.

Perché, diversamente dal solito, il voto domestico questa volta sarebbe risucchiato nel dibattito globale tra populisti- con tutte le diverse gradazioni di tono, dai sovranisti agli antagonisti anarcoidi agli antieuropeisti d’antan- e “istituzionalisti”. In assoluto non sarebbe un male una volta tanto parlare del destino d’Europa in occasione di un appuntamento elettorale a questo dedicato. Se, però, la tentazione di piegare tutto a robetta domestica non fosse prevalente.

Prendiamo il Pd: è in atto una ruvida campagna congressuale, per un congresso, però non ancora indetto, e i candidati in pectore si aggirano per la penisola ancora sudaticcia e in bermuda balneare, vendendo la propria merce. Capita che Zinga ( abbiamo recentemente scoperto che il presidente della regione Lazio i suoi fans lo chiamano così ) si provi a vellicare corde antiche del popolo di sinistra, dichiarando tutta la sua alternatività a Macron, identificato come icona della destra e del capitalismo europeo.

Naturalmente si scrive Macron ma si legge, nel codice esoterico degli sciamani pd, Renzi, che al presidente francese non ha mai fatto mistero di offrire la sua considerazione. E, in sovrappiù, tanto per non lasciare margini di equivoco e per far capire quanta voglia c’è di marcare la differenza col passato renziano, si argomenta pure sulla natura del movimento cinque stelle, negandone una identità culturale destrorsa e lasciando aperto un vagheggio sulla opportunità mancata di costruire un rapporto con loro ( “che sono di sinistra”..). Reazioni puntuali degli esternatori renziani.

Ora, confronto congressuale a parte, sembra che l’evocazione del tema macroniano e la sua riduzione a strumento di guerra interna rappresenti un mal posto nel pur necessario aprire gli spazi del dibattito pubblico ai temi europei. Perché alla fine non è se Macron rappresenti o meno la sopravvivenza nel tempo nostro della destra democratica francese- peraltro abbastanza risoluta nel dire in faccia a Orban e Salvini che ne pensa del loro sovranismo- ma la questione è legata alla nuova grammatica europea che il populismo insediato nelle democrazie moderne, sta scrivendo con lettere di fuoco.

Insomma: non è difficile immaginare che il turno elettorale europeo di maggio sarà una gigantomachia tra populisti-sovranisti ed europeisti. Tertium non datur. In questo quadro si può agitare quanto si vuole il vessillo identitario, ma alla fine sarà inevitabile un’intesa tra chi partecipa ad una visione dell’Europa coerente con quella dei padri dell’Unione e chi, invece, ha come missione quella di sfasciare tutto. In questo quadro la baruffe chiozzotte dei candidati Pd prendono la dimensione di un piccolo film già visto. Mentre invece ne dobbiamo girare uno nuovo e con una certa urgenza.

Salvini, Salvini pd

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