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Di primo acchito, la tesi che oggi sul Corriere della Sera sostiene Dario Franceschini appare di buon senso ed anche di raffinato ragionamento politico. Dice il ministro: usiamo questa legislatura con tre gruppi quasi equivalenti in Parlamento per fare quelle riforme costituzionali che attendono da anni, proprio quelle che la destra e la sinistra in passato hanno provato a fare da sole senza riuscirci. C’è dell’autocritica nel ragionamento di Franceschini e c’è anche dell’onestà intellettuale, pur essendo evidente che il peso del fallimento del referendum del 2016 finisce tutto sul conto di Matteo Renzi, con malcelata soddisfazione del medesimo Franceschini. Quindi sarebbe sbagliato criticarlo a priori, bocciandone la proposta senza nemmeno guardarci dentro.

Vi sono però due punti che inficiano gravemente il ragionamento del ministro, finendo per immalinconirne decisamente la proposta. Il primo è che il Pd esce sconfitto da queste elezioni, arrivando terzo su tre nella competizione elettorale. Il Pd però non è soltanto il partito di Renzi, è anche il partito di Franceschini. Quindi è il soggetto politico meno titolato ad avanzare ammonimenti o ramanzine agli altri giocatori, arrivati primo e secondo.

Il secondo punto è ancora più grave, perché il ministro, sollecitato da Aldo Cazzullo, lascia intravedere come diretta conseguenza della sua impostazione la nascita di una qualche coalizione di governo “figlia” dell’accordo sulle riforme. Ecco allora che tutto finisce per prendere una piega troppo “governista” o “poltronara”, mi si passi la doppia espressione poco elegante.
Non può e non deve il Pd con i suoi massimi dirigenti proporsi dopo la batosta elettorale come partito di governo a tutti i costi e con chiunque (in sostanza lì finisce lo schema Franceschini), perché non è giusto verso i suoi elettori (quelli rimasti) e ha poco senso in generale, oltre ad essere sommamente inelegante.

Può invece il Pd aderire ad un proposta di altri, cioè di Di Maio o Salvini (che per ora non si sognano di avanzarla), qualora fossero loro, congiuntamente o separatamente, a ritenerlo utile.
Il Pd governa ininterrottamente dal 2011, avendo, spesso con merito, garantito equilibrio e saggezza. Può capitare, in democrazia, anche di andare all’opposizione.
Ministro Franceschini, non è un dramma.

Caro ministro Franceschini, non è un dramma se il Pd sta all'opposizione

Di primo acchito, la tesi che oggi sul Corriere della Sera sostiene Dario Franceschini appare di buon senso ed anche di raffinato ragionamento politico. Dice il ministro: usiamo questa legislatura con tre gruppi quasi equivalenti in Parlamento per fare quelle riforme costituzionali che attendono da anni, proprio quelle che la destra e la sinistra in passato hanno provato a fare…

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