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La “biondina” difensiva o il generale articolato? La destra radicale si trova oggi di fronte al dilemma di questa scelta, al di là dei ruoli ufficiali dell’uno, o dell’altra. Giorgia Meloni e Roberto Vannacci infatti si contendono la guida culturale della destra. Certo Meloni è capo del governo, ma questo non la fa automaticamente capo della destra radicale. Anzi, l’essere donna, premier, spesso sulla difensiva, la allontana da quella destra estrema che solletica ai convegni della destra spagnola di Vox o del Rassemblement National francese.

Quella destra invece in Italia può guardare speranzosa a un generale dei paracadutisti con esperienza di combattimento, ragazzino in Francia, in azione in Afghanistan e in missione a Mosca. Conosce il mondo, sa le lingue, è sofisticato e attento con le parole, è severo ma mai difensivo. Tutto è meglio di una ragazza esile mai vissuta fuori dal raccordo anulare romano, che le lingue le ha imparate a scuola e la cui esperienza di combattimento è forse stata la partecipazione marginale in qualche rissa di periferia.

Vannacci, come hanno già scritto tanti commentatori, è divisivo per la Lega, dove un’anima profonda è fatta da piccole imprese con l’ossessione di evadere le tasse ma senza essere “culturalmente” radicali di destra. Invece il generale è una bandiera per tutta quella destra che oggi divide il suo voto tra FdI e Lega nazionale.

In questo senso Meloni che afferma di sognare una federazione europea di destra radicale lavora oggettivamente per Vannacci. Con questa direzione di marcia, che spinge al radicalismo di destra, alla fine alla commissione europea o in Italia il generale vince su Meloni. Uno dei leader di FdI, Fabio Rampelli, racconta che a suo tempo scelse Meloni per un’operazione diversa. Una donna, piccola, con un volto dolce, doveva traghettare la destra radicale verso il moderatismo. Lei ha scelto, forse anche per motivi di opportunità, di cercare di cavalcare le due spiagge della destra, strizzando l’occhio una volta ai moderati, una volta ai radicali.

Questo avrebbe potuto funzionare senza una vera alternativa di destra potabile, L’attuale leader della Lega Matteo Salvini, al di là delle pose, non pare un duro vero di destra. Ma Vannacci spiazza i giochi.

Lei per sopravvivere politicamente dovrebbe fare una poderosa virata al centro, a inseguire il leader di Forza Italia Antonio Tajani che è solo nella sua posizione attuale. Un punto principale di questa svolta, per la sua sopravvivenza, è che dovrebbe lasciar perdere tutte le storie de “la cultura di destra”. La cultura non è di destra o sinistra, è cultura e basta. Chi ne parla in termini di destra e sinistra è perché non vuole cultura ma una cinghia di trasmissione di poche idee di dominio, spesso mal pensate.

Vannacci, che fa una vera battaglia culturale, infatti non propone una cultura di destra, propone un più attento uso delle parole, per esempio cosa è “normale” e cosa non lo è e in base a che principi. Questo è però un terreno molto scivoloso dove ci vuole una testa chiara e tanta vera cultura.

Inoltre, il generale, uomo che può non piacere ma certamente non è banale, domani dopo avere conquistato con certezza la destra può lui si svoltare al centro. Potrebbe compiere quel movimento politico che in Francia fu di De Gaulle. I passaggi sono ancora molto lontani, ma di certo se Meloni non si sposta rapidamente al centro le potrebbe crollare tutto rapidamente addosso.

Questo è già nei numeri. Secondo tutti i sondaggi un raggruppamento di centrosinistra cha vada da Calenda a Conte è in vantaggio rispetto a quello di centro destra. Oggi il centro sinistra è spaccato ma niente unisce come la prospettiva del potere quando si è all’opposizione, e nulla divide come guide divisive e confuse sulla direzione da prendere, se si è al governo,

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Meloni per sopravvivere politicamente dovrebbe fare una poderosa virata al centro, a inseguire il leader di Forza Italia Antonio Tajani che è solo nella sua posizione attuale. Un punto principale di questa svolta, sarebbe lasciar perdere tutte le storie de “la cultura di destra”. La cultura non è di destra o sinistra, è cultura e basta

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