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Un incontro cordiale e amichevole, che ha lanciato messaggi rilevanti per entrambi le parti. Se il presidente Usa ha infatti appoggiato la leadership italiana in Libia (con una lieve spallata alle ambizioni di Macron), il premier italiano è sembrato volerlo rassicurare sulla partecipazione italiana al programma F-35. Così il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai) e già capo di Stato maggiore della Difesa, ha descritto l’incontro tra il presidente del Consiglio italiano e il presidente degli Stati Uniti.

Generale, che vertice le è sembrato quello tra Conte e Trump?

Mi è sembrato che il clima sia stato molto amichevole e cordiale. Per quanto riguarda i contenuti, è chiaro che la questione migratoria sia un tema sensibile tanto per Trump quanto per Conte; entrambi condividono una chiara visione della necessità di limitare e controllare il problema. Si tratta d’altronde di un flusso con caratteristiche storiche, e lasciarlo senza controllo sarebbe inaccettabile. Da qui, il fatto che i due abbiano concordato sulla questione.

Sugli F-35, il premier Conte è parso voler rassicurare Trump riguardo la partecipazione italiana, parlando di una “valutazione curata e ponderata” e di “trasparenza con il partner americano”. Che messaggio è?

Sembra effettivamente un messaggio di rassicurazione diretto al presidente americano. Ora bisognerà vedere se queste parole (che dicono tutto e il contrario di tutto) possono essere sufficienti per tale rassicurazione, essendo d’altronde molto simili a quelle già pronunciate dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta. In entrambi i casi non è stato ancora chiarito, e spero che possa essere fatto al più presto, se la valutazione di un eventuale stop agli acquisti riguardi i 90 velivoli su cui ci siamo impegnati o piuttosto quelli per cui abbiamo sottoscritto contratti d’acquisto veri e propri. Ciò ha effetti di natura operativa e industriale che non possono non essere considerati. Se si guarda quello che avviene in Europa, ad esempio, si nota che Belgio e Olanda stanno decidendo quale velivolo di quinta generazione comprare. Avere il centro di Cameri in funzione vorrebbe dire vantare una posizione quasi naturale per la produzione di questi velivoli in Italia.

Dall’incontro è arrivato il via libera a una Cabina di regia per il Mediterraneo allargato, e in particolare per la Libia, “un gemellaggio tra Italia e Stati Uniti”, ha detto Conte. Che idea si è fatto di questa nuova iniziativa? Come potrebbe concretizzarsi?

Dal punto di vista della meccanizzazione di questo tipo di approccio politico, la soluzione si chiama steering committee. Ricordo che è stato sperimentato all’epoca della crisi albanese, e che nell’arco di una settimana si è concretizzata una vera e propria cabina di regia guidata dall’Italia, che coordinò l’azione della comunità internazionale facendo in modo che la coalizione ad hoc fosse efficace e raggiungesse gli obiettivi prefissati. Allo stesso modo, credo che la “cabina di regia” per la Libia possa concretizzasi in un gruppo di lavoro ad alto livello (magari a livello di ambasciatori) in modo tale che le azioni condotte nel Paese a sostegno del governo di Serraj (considerato l’unico legittimo tanto dall’Italia quanto dagli Usa) vadano nella giusta direzione. In tal senso, spero che sia prevalsa la prospettiva italiana per cui resta ancora prematuro parlare di elezioni in Libia, come invece vorrebbero i francesi, dato che non sembrano esserci le condizioni perché si possano verificare nel pieno senso democratico.

Anche rispetto alle ambizioni francesi, Trump ha riconosciuto il ruolo di leadership dell’Italia nel nord Africa. Sembra un’indicazione importante.

Sì, è un riconoscimento importante. Eppure, personalmente non vorrei fare il dietrologo e leggerci il tentativo di privilegiare l’Italia rispetto a Emmanuel Macron, che magari non è più tanto simpatico a Trump come lo era all’inizio. D’altra parte, a prescindere dalle motivazioni, l’atteggiamento della presidenza americana viene sicuramente incontro alle esigenze geopolitiche e geostrategiche del nostro Paese. Lo stesso non si può dire sulla questione commerciale.

Che intende?

Intendo dire che se Trump vuole riequilibrare uno squilibrio di 31 miliardi di dollari nella bilancia commerciale, come ha detto, le nostre imprese correrebbero dei grossi rischi. Spero in tal senso che i colloqui abbiano individuato atteggiamenti che non siano troppo svantaggiosi per l’Italia. La nostra economia sopravvive grazie a una bilancia dei pagamenti positiva. Se viene messa in discussione, i problemi economici potrebbero essere seri.

C’è invece accordo sulla necessità di aumentare le spese per la difesa, come già ribadito nel recente Summit Nato di Bruxelles.

Su questo Conte ha dato ragione a Trump. Mi fa piacere che abbia preso atto della questione, ma ancora non è chiaro cosa intenda fare il governo per riequilibrare la spesa e arrivare al 2% del Pil, obiettivo definito in ambito Nato. Le dichiarazioni a riguardo sono molto generiche e mi sembra che ci siano pochi spazi sia dal punto di vista economico, sia per gli atteggiamenti politici. Non credo infatti che, su questo tema, il premier possa contare su un solido supporto da parte dei partiti che lo sostengono.

Conte ha parlato anche dei programmi spaziali, e in particolare del volo supersonico e suborbitale e della collaborazione tra Agenzia spaziale italiana (Asi) e Nasa. Che segnale è secondo lei?

È un segnale interessante, visto che ci sono molte attività già in corso. Mi farebbe piacere se Conte avesse sollevato il problema relativo alla gara per i futuri addestratori dell’Aeronautica americana, a cui Leonardo, tramite la controllata Drs, partecipa proponendo il T-100 , il nostro master, una soluzione tecnicamente senza pari. Il problema dell’export dovrebbe essere risolto perché la macchina sarebbe prodotta integralmente negli Stati Uniti, e dunque spero che Conte abbia attirato l’attenzione di Trump su una soluzione completamente soddisfacente, comprovata, e che non recherebbe danno all’industria americana.

Pare che Conte e Trump condividano il desiderio di promuovere il dialogo con Mosca, anche se il presidente americano sembra incontrare maggiori resistenze interne. È così?

Sul rapporto con la Russia bisognerebbe effettivamente capire prima di tutto quale è la volontà americana. In questo senso, le ultime vicende e le ultime uscite di Trump non sono stato molto chiare, alternando dichiarazioni positive a correzioni di marcia dopo critiche interne. Ad ogni modo, e questo è un parere personale, è chiaro che con Mosca bisogna dialogare, magari rispolverano attività congelate a suo tempo e che potrebbero essere riprese senza far venir meno il principio per cui l’Occidente non può accettare l’occupazione russa del Donbass.

Pensa al Consiglio Nato-Russia?

Penso anche a canali di comunicazione a livello più basso, utili a risolvere problemi spiccioli ed evitare che nascano malintesi. Oggi come oggi, il dialogo militare è limitato agli incontri tra il chairman americano e il capo di Stato maggiore russo. Se in Europa ci fosse la possibilità di dialogare attraverso canali a livello più basso, ogni malinteso per il sorvolo di una nave da parte di un aeroplano potrebbe essere superato facilmente. D’altronde, ciò è evidente ed efficace in Siria, dove non sarebbe possibile operare senza il dialogo tra i diversi comandanti di teatro, il quale avviene senza remore politiche e senza che ciò venga interpretato come l’accettazione supina delle posizioni altrui. L’obiettivo è stemperare le tensioni e ottenere risultati concreti che lo scontro ideologico non permette di conseguire.

Sulle questioni energetiche il presidente del Consiglio italiano si è detto d’accordo con gli Usa sulla necessità di diversificare gli approvvigionamenti, parlando anche di Tap. Come la prenderà Putin?

Su questo aspetto è opportuno ricordare la portata globale della Tap. La volontà dell’Azerbaijan, come ha sempre detto il governo azero, è di evitare la competizione con la Russia. E in effetti si parla di quantità di gas che non preoccuperebbero Mosca circa la riduzione delle forniture all’Europa occidentale. Ben venga dunque la diversificazione, utile a diminuire la dipendenza dalla Russia ma senza calpestare i calli di Putin. E su questo mi sembra che non ci siano divergenze significative.

C’è un tema che secondo lei non è stato toccato dalla conferenza stampa?

Sicuramente da parte italiana poteva essere sollevata la questione della Turchia. Parliamo di un Paese dell’Alleanza Atlantica che si comporta in modo discutibile nei confronti di altri Paesi, alleati compresi. Visto che si è detto molto di Mediterraneo, il problema poteva essere evidenziato, considerando che per l’ennesima volta il governo turco ha dichiarato di voler proseguire prospezioni in una zona economica esclusiva che non è la sua, ma di Cipro. Si tratta di una zona dove l’Italia, con Eni, ha interessi molti forti. Se andassi a Washington, sarebbe sicuramente un problema che solleverei.

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