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Senza entrare subito sui valori di fondo, veri o strumentali che siano, è essenziale capire bene cosa significhi manifestare, e perché si ricorra oggi ad un tradizionale strumento di comunicazione politica nelle piazze.

In tanto manifestare, si sa, è un diritto. La parola stessa dice di una volontà pubblica di comunicare aggregandosi collettivamente per far valere propri valori e idee.

Il problema, dunque, non può riguardare questo aspetto generale. In un paese dove si riconoscono diritti civili, manifestare in pubblico costituisce una libertà originaria e insindacabile. Dopodiché però esistono valutazioni diverse, simpatie più o meno marcate, sulla necessità di farlo, aderendo ad un corteo di popolo di sinistra, di destra o di centro.

Cosa completamente diversa è all’opposto utilizzare il diritto sociale a poter manifestare come opportunità per impedire ad altri di farlo, come è avvenuto ieri in occasione del comizio della Lega, oppure usare la piazza come luogo in cui si inietta il vortice della violenza collettiva contro altre persone.

Laddove le forze dell’ordine sono costrette ad intervenire per scortare, alleggerire, sedare e spesso addirittura neutralizzare con i manganelli un corteo pericoloso per l’incolumità degli altri, ecco che si esce dal piano dei diritti e si entra in quello della criminalità. La libertà non può essere infinita. Deve al contrario conoscere bene i suoi limiti perentori e assoluti.

Il confine è labile, ma non esiste una giustificazione basata sulla malvagità delle idee altrui che possa mutare il fatto gravissimo che consiste nel portare la violenza nelle strade di città e paesi.

In questo senso, non riesco a capire dove stia la motivazione che i centri sociali possono addurre per giustificare il fatto che vogliano impedire con la forza a qualcuno di parlare di fascismo. Fermo restando che questi operi a norma di legge e su un piano di riflessione e non di azione, valutazione, quest’ultima, che riguarda le forze dell’ordine. Utilizzare la categoria dell’antifascismo come salvacondotto per poter fare qualsiasi cosa è la dimostrazione che anche l’opposizione al fascismo ha sempre avuto al proprio interno un’eguale vocazione malsana allo squadrismo e alla violenza fascista.

D’altronde, come si sa, il sindacalista George Sorel, ideatore della violenza rivoluzionaria sindacale, ha fatto proseliti sia a destra e sia a sinistra. Perché il punto è il rispetto della persona, e non i riferimenti ideali. Il terrorismo degli anni ’70 era un malanno rosso e nero. E il Bolscevismo è stato eguale, assolutamente eguale, al fascismo, sotto ogni punto di vista.

Trovo legittimo, sebbene sinceramente inopportuno, che politici indiscutibilmente democratici, partecipino ad un corteo per l’antifascismo, dopo che la medesima categoria sia stata utilizzata ieri per tentare di compiere atti intimidatori e violenti anche contro forze politiche democratiche.

L’essenza della democrazia non sta nel fascismo o nell’antifascismo, ma nei valori morali e nella capacità intellettuale di accompagnare idee con parole, senza ricorrere alla forza quasi sempre per mancanza di buone argomentazioni.

In ultimo occorre dire qualcosa sul fascismo. Non è vero che la forma attiva di nazionalismo coagulata storicamente nella dittatura di Benito Mussolini sia stata solo azione illegale e violenza. Vi erano idee opposte a quelle comuniste e non liberali tanto quanto quelle comuniste che si reggevano sull’idea della società nazionale, dell’interclassismo corporativo e del primato dello Stato che di per sé non erano necessariamente aggressive. L’uso della brutalità si fonda invece sempre sulla volontà di indicare un nemico che ostacola la loro realizzazione, e dalla cui eliminazione dipende la loro realizzazione. E il fascismo e il comunismo furono esattamente e reciprocamente questo.

Anche il comunismo aveva una xenofobia: non nazionale ma di classe. E anche l’antifascismo ha compiuto violenze, contenendo al suo interno un’ideologia di odio della borghesia che era il socialismo reale.

Abbandoniamo, perciò, questa logica degli opposti estremismi, e cerchiamo di invitare i cittadini, soprattutto giovani, a trovare dentro di loro e nei libri di filosofia e storia le motivazioni ideali e culturali per essere conservatori o progressisti, ma sempre nell’alveo della democrazia e del rispetto altrui.

Altrimenti finiremo per tornare ad una logica dell’azione rivoluzionaria e della reazione repressiva che produce solo danni, morti e perdita di civiltà.

Piazza piena, idee vuote. La riflessione di Benedetto Ippolito

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