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Sarebbe dovuto essere segreto o quasi, ma se ne è parlato al recentissimo G20 di Buenos Aires. Il negoziato tripartito (Usa, Ue, Giappone) per riformare l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) era stato annunciato in modo molto anodino con un comunicato del 31 maggio in cui si parlava di “colloqui” tra i tre protagonisti “storici” del commercio internazionale. Pochi se ne sono accorti anche tra coloro che seguono da vicino le vicende del commercio; l’annuncio è stato, infatti, offuscato dalle polemiche sui “dazi di Trump”. Ma a Ginevra, nella sede del Wto, un edificio degli anni Venti del secolo scorso creato per ospitare l’Organizzazione internazionale del Lavoro Oil (da lustri trasferitasi altrove), se ne parla da settimane. La sede del Wto è immersa nel parco Mon Repos sulla riva del Lago Lemano (nome un po’ ironico date le guerre e guerriglie da quelle parti). Al centro del parco, nell’elegante ristorante La Perle du Lac, sono spesso a colazione tre figure chiave del mondo del commercio internazionale, ma poco note al grande pubblico: lo US Trade Representative, Robert Lighthizer, e i capi delle rappresentanze permanenti presso il Wto dell’Unione europea (Ue), Marc Vanheuler, e del Giappone, Januchi Ihara.

Il negoziato non è che agli albori – e le guerriglie daziarie per molti aspetti lo celano bene. L’obiettivo non è quello di riscrivere il trattato Wto da cima a fondo, ma di chiarirne alcuni aspetti e di rafforzarne la funzione giurisdizionale nelle vertenze commerciali. In tal modo si raggiungerebbe uno scopo immediato e comune ai tre partner: mettere con le spalle al muro la Cina che è stata ammessa al Wto l’11 dicembre 2001 sulla base della promessa che avrebbe liberalizzato la propria economia e, invece, è progressivamente diventata più statalista che mai, fornisce ampi aiuti di Stato alle proprie imprese privatatizzate, copia con disinvoltura i brevetti e le tecnologie altrui, ed ha “schermato” il proprio mercato high tech da inclusioni straniere.

La figura chiave è Lighthizer, un settantenne avvocato societario di Washington, diventato noto negoziatore commerciale internazionale trent’anni fa durante la Presidenza Reagan quando aveva la carica di vice trade representative; allora ha avuto un ruolo essenziale nella formulazione della Carta di base del Wto. Parla poco, e a voce bassa, ma ha conquistato la piena fiducia di Trump e crede fermamente nei benefici di un commercio più libero e di maggior accesso ai mercati, nonché nelle regole di base – non-discriminazione e reciprocità- del sistema Wto. È anche convinto che la Cina le violi ampiamente e che non abbia attuato nessuno degli impegni presi per essere ammessa, oltre tre lustri fa, al Wto.

In questo contesto, le guerriglia daziaria in atto e il recente vertice Ue-Pechino assumono una nuova luce. La guerriglia Usa-Ue appare un po’ come un diversivo dal tema della riforma Wto, pur se (come al vertice Nato) la Casa Bianca tende a scompigliare le carte in Europa. Dato che non è obiettivo di Usa, Ue e Giappone espellere la Cina dal Wto, ma di farle seguire le regole del commercio mondiale, l’Ue sarebbe il cavallo di Troia per scalare, con le buone maniere, la muraglia cinese e convincere i mandarini a mettersi in riga.

(Foto: Flickr)

 

Il G20 e la guerra dei dazi. Il negoziato semi-segreto per la riforma del Wto

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