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“In Italia una politica di maggiori investimenti pubblici finanziati in deficit è rischiosa”. Carlo Cottarelli torna a bacchettare il ministro dell’Economia Giovanni Tria e la sua passione per gli investimenti. Intervenuto alla Farnesina durante l’ultima giornata di Villa Mondragone, la convention annuale della Fondazione Economia Tor Vergata presieduta da Luigi Paganetto, il direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani ha messo in guardia il governo, ancora una volta, da qualsiasi aumento del deficit. Gli investimenti non sono una buona ragione per scialacquare, dice. “Così finanziati gli investimenti non portano a una riduzione del rapporto debito pubblico/Pil perché l’effetto denominatore non è abbastanza grande. Dobbiamo spostare la spesa pubblica dalla spesa corrente a quella per investimenti, purché si tratti di buoni investimenti. A mio parere ad esempio è più importante avere una buona spesa per la pubblica istruzione che per le infrastrutture”.

È un cavallo di battaglia di Cottarelli: non serve spendere di più, serve spendere meglio. Lui stesso si difende da chi lo accusa di essere un fan dell’austerity, “non sono un talebano fiscale” aveva scritto pochi giorni fa in un editoriale per La Stampa. La storia insegna, ha ricordato alla Farnesina l’ex premier incaricato. “Prima della crisi finanziaria in Italia abbiamo avuto investimenti pubblici fissi rispetto al Pil del 2,9%, in Germania erano a poco più del 2% ma le nostre infrastrutture non erano poi così migliori”.

Il debito pubblico non è certo un male tutto italiano. Il miraggio di una crescita sostenuta e poco stabile ha portato negli ultimi anni tanti Stati, specialmente quelli più sviluppati, a scegliere politiche fiscali espansive che però “curano solo i sintomi, non vanno alla radice del problema”. Un miraggio, ha spiegato Cottarelli, che ci portiamo dietro da tanto, troppo tempo. “In che misura la debolezza della domanda privata può essere rimpiazzata dalla domanda pubblica in via permanente?” È un dibattito iniziato già dopo la Seconda Guerra Mondiale. Che ha trovato una risposta definitiva nel 2008, quando i subprime statunitensi sono implosi con le conseguenze che tutti sappiamo. “Le famiglie americane hanno preso soldi a prestito e appena i tassi di interesse sono saliti non sono state in grado di ripagare i debiti. La crisi ci ha fatto capire che la crescita basata sull’accumulo di debito non è sostenibile”. Insomma, il mister Forbici dell’economia italiana non si schiera a priori contro qualsiasi stimolo fiscale, ma suggerisce di non seguire il mantra tipicamente italiano degli investimenti pubblici come unico motore per la crescita.

Quali soluzioni allora? Cottarelli ne ha messe sul tavolo due, senza pretese di esaustività. Un primo piano di intervento per far fronte alla scarsità di domanda aggregata potrebbe essere sulla redistribuzione del reddito. È una semplice constatazione, non un luogo comune, osservare quanto siano aumentate le disuguaglianze nei Paesi sviluppati e in via di sviluppo negli ultimi trent’anni. “Prendiamo gli Stati Uniti” ha osservato il docente della Cattolica di Milano, “a inizio anni ’80 la fascia dell’1% più ricco della popolazione deteneva circa il 9% del reddito totale, oggi quella quota è triplicata”. Prima di rilanciare la crescita con gli steroidi, rimandando in là il conto da pagare, bisogna studiare un modo per “correggere la distribuzione del reddito che oggi è troppo squilibrata verso i redditi più alti”.

Una seconda possibilità, ha concluso l’economista, consiste in un cambio di approccio. Basta inseguire una crescita alta ma instabile. Meglio “una crescita bassa ma meno esposta alle fragilità piuttosto che pompare la crescita con strumenti di politica monetaria e fiscale” suggerisce Cottarelli. Ma in chiusura ammette con sincerità: “Purtroppo non esiste una soluzione semplice. L’unico consiglio che davvero posso dare è: allacciamo le cinture”.

Sì agli investimenti, no al debito pubblico. Cottarelli manda un messaggio a Tria

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