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C’è chi la fa per interesse e chi addirittura la vive come se fosse un lavoro. Ma, per fortuna, ci sono tanti che, ancora oggi, la politica la fanno per passione perché – come si dice in questi casi – “ci credono”, nonostante tutto.

Sicuramente sarebbe assai bello scoprire, magari di punto in bianco, che ci siamo liberati definitivamente dei “professionisti” e che finalmente la politica è tornata ad essere semplicemente un modo per rendere migliore – e più utile per la propria comunità – l’esistenza di ciascuno di noi. Non la vedo facile. Eppure, un modo per cominciare c’è. Passa per l’obbligo di costruire un rapporto diretto con i cittadini, con gli elettori, con il corpo, il polso, la pancia e il cervello del Paese. Certo, le ultime leggi elettorali non ci hanno aiutato e probabilmente neanche quella con cui ci apprestiamo ad andare alle urne è un capolavoro di democrazia. Però, nel momento in cui l’elettore inforca la matita e ne fa un’arma, la più bella ed avvincente battaglia da combattere resta quella di conquistarne il giudizio, insindacabile.

Già, una battaglia. Dicevo che questa è una legge complicata. Non solo. Fa pure in modo che in campo debbano scendere due diversi tipi di “soldati”. Coloro che sono impegnati nei collegi uninominali, e cioè candidati chiamati ad un confronto all’ultimo voto, perché in ciascun collegio, gli abitanti sceglieranno un solo nome, che li dovrà rappresentare tutti. E non ci saranno secondi posti, ma soltanto un vincitore. Invece, per chi si batterà nel proporzionale, ci sarà un complesso calcolo di assegnazioni, nel quale conteranno di più le divise e i simboli. Quello che è certo è che comunque, dopo parecchi anni, ci sarà di nuovo battaglia. E tutti saranno chiamati al confronto e al dibattito, nel proprio territorio. Ed è proprio questo ciò che amo della “vera” campagna elettorale: la sua atmosfera e i suoi riti. Il contatto con la gente, lo scoprire fino in fondo la tua terra. La campagna elettorale – se sei una persona sana – è una palestra di vita che ti rende migliore. Non devi solo stringere le mani e sorridere. Devi guardare in faccia le persone. Devi ascoltarne le storie, le paure, le debolezze e il coraggio. Devi guardare nelle loro vite e scoprire coi tuoi occhi quello che non va. E a quel punto, anche se non lo dici perché sei una persona seria, dentro di te scatta un impegno: il dovere di fare quello che puoi per migliorare le cose di chi hai di fronte.

Per offrire una speranza o per restituire la dignità. È proprio questo che mi aspetto dalla prossima campagna elettorale nei collegi: nessuno potrà sfuggire alla gente. Per questo ci vogliono uomini e donne che, nel chiedere di rappresentare le radici e le istanze della propria comunità, siano in grado di camminare a testa alta per le strade della propria terra. L’ingrediente principale di queste elezioni dev’essere la credibilità dei candidati. E dovranno essere i partiti a verificarla per primi. Scegliendo soltanto persone che conoscano i problemi della propria terra e che abbiano già dimostrato, nella propria esperienza umana e professionale, capacità di affrontare e risolvere le questioni. Per rivelarsi all’altezza delle aspettative dei propri concittadini, in fondo, non  dovrebbero essere così le donne e gli uomini delle istituzioni? Quali sarebbero le altre ragioni, se non queste, che dovrebbero spingere professionisti, esponenti della società civile, del mondo accademico, imprenditori, lavoratori o chiunque altro ad intraprendere la strada della politica? Per troppi anni invece si è giocato sulla contrapposizione tra la cosa pubblica, gestita da pochi e male, e il privato di ciascun cittadino, nel quale si sono rifugiate quasi tutte le migliori intelligenze. Ma adesso il nostro Paese non se lo può più permettere.

Una crisi devastante e una democrazia che ha arretrato sempre di più rispetto ai poteri forti, alle banche, allo spread e ai conti europei, hanno allontanato i cittadini dalla politica, rendendola ai loro occhi una setta, di quelle da cui tenersi alla larga. E il rifiuto lo abbiamo visto persino con il referendum dello scorso dicembre. Io ho convintamente votato “no”. Ma non dimentico che una parte significativa di quel “no”, pur giusto e doveroso, è stata il frutto della repulsione di tanti cittadini per un certo modo di gestire le Istituzioni. Noi invece dobbiamo vincere convincendo le persone. È questa la grande battaglia per la democrazia che si combatterà il prossimo mese di marzo. Quella per governare avendo ricevuto dalla gente un mandato consapevole per farlo. Il Presidente Berlusconi, Forza Italia e il Centrodestra vogliono guidare il Paese non per la paura o per la rabbia degli elettori, ma avendo convinto, con le idee e con i programmi,  quelli che hanno la matita in mano o che addirittura avevano smesso di prenderla. Noi vogliamo dimostrare che non è vero che “uno vale uno”, ma che ciascuno di noi vale per quello che è.

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