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Roberto Maroni è stato un apprezzato presidente della Regione. Ha tenuto unita la sua maggioranza; ha avuto una postura di piena e leale collaborazione con le istituzioni, come governo nazionale e comune di Milano, di segno politico opposto al suo; ha ottenuto successi come Expo2015. Sconfiggerlo sarebbe stato arduo e benché Giorgio Gori stia svolgendo la sua battaglia con il massimo impegno il vantaggio sarebbe stato, forse, incolmabile.

L’ex ministro dell’Interno, stando alle indiscrezioni, aveva già pronta la campagna elettorale sotto le insegne dello slogan “Fatto!”. L’ultima novità sarebbe però che non si candida più. Contano poco le motivazioni: che sia per l’ipotesi di condanna in un processo, con conseguente sospensione dall’incarico, o che sia per altre ragioni personali come scritto in un comunicato ufficiale del centrodestra.

Ora tocca pensare a chi potrà candidarsi. Si vota fra poco meno di otto settimane. Un attimo. La Lega, secondo i rumors, vorrebbe candidare l’ex sindaco di Varese, Attilio Fontana. Una scelta sostenibile se ci fosse più tempo ed una candidatura alternativa meno temibile. Gori ha lavorato per lungo tempo con Berlusconi, è il prototipo di un moderato, piace a larghe fasce dell’elettorato compreso quello “cittadino” di Milano.

Sarebbe così anche il politico leghista di Varese? Prima di arrivare al Pirellone, Maroni era stato ministro e voce centrale  nel dibattito politico nazionale. Insomma, era personalità già ben nota al grande pubblico lombardo. Si può dire lo stesso di Fontana? Se Berlusconi non ha nessuno da candidare in Lazio, ha un jolly in Lombardia: Maria Stella Gelmini. Dei nomi bisbigliati alla stampa il suo è l’unico che potrebbe risultare vincente, magari in ticket con Fontana.

La candidatura della coordinatrice regionale di Forza Italia aprirebbe la strada ad un candidato di destra nel Lazio (lo stesso sindaco di Amatrice, Pirrozzi?). Al momento sono solo congetture ma il tempo a disposizione per decidere è scarso. Se il buon senso prevarrà, sarà la Gelmini a correre in Lombardia.

Il passo indietro di Maroni. Quello in avanti della Gelmini

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