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C’è poco da fare: quando in Iran la gente scende in piazza per protestare, è sempre una notizia. Il 28 dicembre a Mashad, città santa e secondo centro del Paese per numero di abitanti, si sono tenute delle manifestazioni di protesta contro il carovita. Secondo alcuni media occidentali, tra cui BBC, i manifestanti sarebbero stati “alcune centinaia”. Altre manifestazioni “più piccole” si sono svolte a Nishapur e Birjand, sempre nel nord est del Paese.

Il 29 dicembre una cinquantina di persone si sarebbero radunate invece a Teheran in Piazza Enqelab, mentre a Kermanshah, capoluogo della regione colpita recentemente dal terremoto, i manifestanti, secondo l’agenzia semiufficiale Fars, sarebbero stati trecento. I social media riportano altri assembramenti in città come Qazvin, Rasht e Sari. Ci sono stati arresti e la folla è stata in più occasioni dispersa con la forza. A Dorud, nel Lorestan, i pasdaran avrebbero aperto il fuoco sui manifestanti, uccidendone almeno 6 e ferendone molti altri.

CHI PROTESTA IN IRAN?

A giudicare dagli slogan, chi è sceso in piazza lo ha fatto per protestare contro il carovita e la corruzione. Bersaglio degli slogan sono stati il governo e il presidente Hassan Rouhani in particolare. L’accordo sul nucleare del 2015 ha sì migliorato la situazione economica, ma la disoccupazione è in risalita (12,4 per cento, un punto in più rispetto allo scorso anno) e proprio nelle ultime settimane il prezzo di alcuni generi alimentari di prima necessità, come le uova, ha avuto un’impennata del 30/40 per cento.

LA DENUNCIA DI ROUHANI

Secondo alcuni osservatori, sarebbe stato lo stesso Rouhani ad accendere la miccia della polemica, col suo discorso in parlamento lo scorso 10 dicembre. In quell’occasione il presidente aveva dichiarato di aver denunciato alla Guida Khamenei l’esistenza di sei istituzioni fraudolente, all’interno di istituzioni governative, che controllano il 25% del mercato finanziario, manipolando il cambio della valuta e il mercato dell’oro. Rouhani aveva parlato di una vera e propria “mafia finanziaria”, responsabile di aver rovinato la vita di almeno 3 milioni di iraniani. Il presidente aveva perciò chiesto al parlamento un sostegno per ridurre i finanziamenti a queste istituzioni e per creare un sistema di controllo efficace.

GOVERNO O SISTEMA?

Ecco il solito equivoco o, se preferite, la solita ambiguità. Chi protesta contro il governo, da che punto di vista lo fa? Dall’interno della Repubblica islamica? Oppure contesta l’intero sistema nato dalla rivoluzione del 1979? Le proteste hanno toccato solo in una fase successiva Teheran e non sono legate ad eventi particolati, come fu nel 2009. È cominciato tutto a Mashad, città conservatrice e roccaforte di Ebrahim Raisi, principale sfidante di Rouhani alle elezioni del maggio 2017. Gli slogan della manifestazioni del 28 dicembre fanno pensare che ci sia la longa manus dei conservatori dietro questi “assembramenti spontanei”. Anche perché le proteste sono scoppiate proprio il giorno dopo che il capo della polizia di Teheran aveva annunciato che le donne “mal velate” non saranno più arrestate ma indirizzate a “corsi educativi”.

Quasi un contraccolpo a una timida apertura da parte delle forze dell’ordine. Poi le proteste si sono diffuse in altre città, dove si sono ascoltati slogan che chiedevano di “lasciar stare la Siria e pensare a noi” o, addirittura, frasi contro gli ayatollah e la Repubblica islamica. Per tutta risposta, circa 4mila persone sono scese poi in piazza a sostegno del governo Rouhani. Le autorità hanno definito queste manifestazioni “controrivoluzionarie” e hanno puntato il dito contro alcuni canali Telegram che sarebbero stati determinanti nella mobilitazione.

Il primo vicepresidente Eshaq Jahangir ha dichiarato: “Quando un movimento politico si diffonde nelle strade, non è detto che chi lo ha lanciato sia in grado di controllarlo fino alla fine”. E ha ammonito: “Chi è dietro questi eventi finirà per farsi del male”. Sembrerebbe, dunque, che dietro a queste manifestazioni ci sia uno scontro politico interno alla Repubblica islamica, piuttosto che una contestazione al sistema.

IL TWEET DI TRUMP

Il presidente degli Usa Donald Trump ha colto invece la palla al balzo per ammonire via tweet Teheran sulla “repressione delle manifestazioni pacifiche” e ammonire: “Il mondo vi sta guardando!”. In Arabia Saudita l’hashtag #IranProstest è stato tra quelli più di tendenza negli ultimi giorni, a testimoniare con quanta attenzione lo storico rivale regionale stia osservando quanto accade in Iran.

Many reports of peaceful protests by Iranian citizens fed up with regime’s corruption & its squandering of the nation’s wealth to fund terrorism abroad. Iranian govt should respect their people’s rights, including right to express themselves. The world is watching! #IranProtests

9 DEY

C’è anche una coincidenza simbolica: queste proteste sono iniziate alla vigilia dell’anniversario della grande manifestazione (9 Dey nel calendario persiano) che nel 2010 segnò la fine dell’Onda Verde, quando l’establishment decise di mobilitare i propri sostenitori e dare un segnale netto a quel che restava del movimento iniziato un anno e mezzo prima. Tanto che in una dichiarazione ufficiale i pasdaran hanno dichiarato che “è necessario rivivere l’epica del 9 Dey”. L’atmosfera dell’Onda Verde sembra comunque lontana anni luce. Cosa c’è allora in gioco?

IL DOPO KHAMENEI

Secondo alcuni osservatori, al di là delle questioni economiche e sociali, il vero terreno di scontro sarebbe un altro. Le condizioni di salute della Guida Khamenei si sarebbero aggravate nelle ultime settimane e si avvicina dunque una resa dei conti tra le varie anime del sistema per decidere la successione. Al di là delle rivendicazioni di chi manifesta, in ballo ci sono equilibri politici molto delicati. Le proteste forse finiranno presto, il confronto politico è appena iniziato.

Chi protesta in Iran? E perché

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