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La spudorata violazione da parte del regime siriano e del suo alleato russo della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ordinava un cessate il fuoco di trenta giorni in Siria impazientisce la comunità internazionale e soprattutto gli Stati Uniti, che al Palazzo di Vetro alzano la voce chiedendo una nuova risoluzione per una nuova tregua e dicendosi pronti a intervenire militarmente se le cose non cambieranno.

Il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres ha riferito al Consiglio di Sicurezza che da quando la risoluzione è stata approvata i bombardamenti, l’uso dell’artiglieria e le offensive di terra nell’enclave della Ghouta orientale, anziché cessare, sono aumentati. E così le vittime tra i civili e i crimini, come l’uso di armi chimiche che secondo le Nazioni Unite, gli attivisti e gli operatori umanitari sono accertati.

“Il regime di Assad, l’Iran e la Russia”, ha detto l’ambasciatrice americana Nikki Haley, “continuano a fare la guerra ai loro oppositori politici. Lo fanno sfruttando le “scappatoie” offerte dalla risoluzione, che sulla carta continua ad autorizzare l’uso della forza contro i gruppi terroristici come lo Stato islamico e Hayat Tahrir al-Sham.

Con questa scusa, ha continuato Haley, Siria e Russia “continuano ad affamare e a colpire centinaia di migliaia di civili siriani innocenti” a Ghouta Est, le cui condizioni effettivamente sono disperate. “Oggi”, ha aggiunto l’ambasciatrice, “dobbiamo chiederci se la Russia abbia ancora un’influenza sulla Siria nel fermare l’orrenda distruzione di ospedali, cliniche mediche e ambulanze” e nel “fermare il lancio di armi chimiche sui villaggi”.

Per questo motivo, gli Stati Uniti chiedono al Consiglio di Sicurezza di approvare una nuova risoluzione che imponga una nuova tregua e soprattutto non abbia “scappatoie controterroristiche” che consentano ad Assad e a Putin di continuare il massacro con la scusa della lotta al terrorismo. La nuova risoluzione imporrebbe un cessate il fuoco di altri trenta giorni ed entrerebbe in vigore immediatamente per consentire il soccorso dei feriti e la consegna degli aiuti umanitari a Ghouta Est.

In caso contrario, è il monito di Haley gli Stati Uniti, non avranno altra alternativa che intervenire militarmente. Come hanno fatto ad aprile, quando il regime di Damasco usò armi chimiche contro i civili di un villaggio della regione di Idlib, spingendo la Casa Bianca a reagire ordinando un attacco missilistico contro la base da cui era partito l’aereo che aveva sganciato le bombe al sarin.

“Noi mettiamo sull’avviso qualsiasi nazione che sia determinata a imporre la sua volontà attraverso attacchi chimici e sofferenze disumane, e specialmente il regime fuorilegge siriano: gli Stati Uniti rimangono preparati ad agire se costretti”. “Non è la strada che preferiremmo imboccare, ha precisato Haley, “ma è una strada che abbiamo dimostrato che prenderemo e siamo preparati a prendere ancora. (…) Quando la comunità internazionale fallisce continuamente nell’agire, ci sono volte in cui gli Stati sono obbligati ad agire da soli”.

Alla minaccia di Haley hanno risposto prontamente da Mosca. Il capo di stato maggiore dell’esercito generale Valery Gerasimov ha detto che la Russia non si asterrebbe dal prendere “misure di ritorsione” contro i mezzi americani “se emergesse una minaccia alla vita dei nostri uomini in divisa”. Gerasimov ha liquidato anche la questione delle armi chimiche come una clamorosa fabbricazione, dicendo di avere le prove che i ribelli a Ghouta pianificano una “provocazione” con l’uso di armi chimiche per indurre l’intervento americano.

A rispondere alla Haley alle Nazioni Unite ci ha pensato invece l’ambasciatore russo Vasily Nebenzya. Per il quale il governo siriano “ha ogni diritto di rimuovere la minaccia alla sicurezza dei propri cittadini”, riferendosi evidentemente ai “terroristi” assediati a Ghouta Est che ancora occasionalmente prendono di mira con colpi di mortaio la capitale. “I suburbi di Damasco non possono rimanere un focolaio di terrorismo”, ha aggiunto Nebenzya. Quanto alle minacce americane, l’ambasciatore russo ha affermato che un eventuale “uso unilaterale della forza contro la Siria sovrana” da parte degli Stati Uniti “avrebbe un impatto avverso sulla stabilità del Medio Oriente”.

A fare da sponda agli Usa nella discussione, seppur flebilmente e senza farsi troppo notare, ci hanno pensato gli inviati di Londra e Parigi. Jonnathan Allen ha detto che la Siria “continuerà a martellare Ghouta orientale finché non otterrà una completa vittoria militare”, e che “il ruolo della Russia – bombardare assieme (ad Assad) e garantirgli l’impunità – non sarà mai dimenticato”. “Cerchiamo di essere chiari su questo”, ha detto invece Francois Delattre, “i civili non sono un danno collaterale di questa offensiva, sono l’obiettivo. (..) La Russia può fermare questo bagno di sangue”.

Con l’approvazione della risoluzione del 24 febbraio scorso, la comunità internazionale non ha ottenuto nulla dal regime siriano e dalla Russia. Vedremo ora se, dopo gli avvertimenti americani e la richiesta di una nuova risoluzione Onu, il loro comportamento cambierà o se la situazione proseguirà immutata, come la sofferenza degli abitanti di Ghouta est.

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