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Se pensate che i soldi si facciano con il petrolio o con le armi vi sbagliate di grosso. Le prime 3 aziende più grandi del mondo per capitalizzazione di borsa fanno informatica. L’Italia sarebbe potuta salire sul podio ma la Storia non è stata indulgente e oggi ci ritroviamo con un potenziale inesplorato e inesploso pronto a prendere l’ennesimo treno diretto all’estero.

Quando Adriano Olivetti ci lascia repentinamente nel febbraio del 1960 l’Italia non solo perde un grande ingegnere e un grande imprenditore ma persino la chance di cavalcare l’industria informatica, ossia la più importante tra le rivoluzioni industriali dopo l’invenzione del motore a vapore e dell’arrivo dell’elettricità domestica.

Quando si parla di videogiochi (termine peraltro desueto e che dovrà essere aggiornato quanto prima) si dicono molte cose ma nessuno fa mai riferimento al primato dell’Italia nell’industria dei computer. Infatti, in pochi sanno che – a 5 anni dalla morte dell’ingegnere Olivetti – le pagine di alcune delle più prestigiose riviste statunitensi (New York Times, Wall Street Journal, Business Week e New York Herald) titolarono “The first desk top computer of the world”, cioè “Il primo computer da tavolo del mondo”.

Per opera di un team di giovani ricercatori della Olivetti di Ivrea, diretti dall’ingegnere Piergiorgio Perotto, nasceva così il primo personal computer: la Programma 101, un calcolatore grande come una macchina da scrivere, pensato per il singolo utente in un momento storico in cui i calcolatori erano enormi e sostanzialmente inaccessibili.

La storia tuttavia non è stata clemente con la Olivetti, che si è trovata a fronteggiare svariati “furti”. Primo fra tutti quello attuato dalla HP che fiuta il business e ne copia tutti i progetti, sottraendo alla storica azienda italiana una gigantesca quota di mercato. E a ben poco è valso il successivo risarcimento da 900 mila dollari. Inoltre, in quegli anni, il pubblico nostrano prediligeva di gran lunga i prodotti americani tanto da costringere la Olivetti a cedere alla General Electric la sua divisione PC non potendone più sostenere lo sforzo economico.

Anche l’invenzione della CPU (Central Processing Unit o Unità di elaborazione Centrale) ha un papà italianissimo: Federico Faggin, fisico, inventore e imprenditore nato a Vicenza nel 1941. Trasferitosi in America, nel 1968 progettò – tra l’altro – l’Intel 4004, il primo microprocessore al mondo. Faggin fu anche lo sviluppatore della tecnologia MOS (MOS silicon gate technology), grazie alla quale riusciamo a digitalizzare le informazioni. E sempre questo vicentino fondò e diresse la Synaptics, ditta che sviluppò i primi Touchpad e Touch screen.

Quindi è bene ripeterlo: le prime 3 aziende più grandi del mondo per capitalizzazione di borsa si occupano di information technology. Nel 2017 la classifica vede al primo posto Apple con 631 mld di dollari, segue Alphabet (Google) con 563 mld e terza Microsoft con 486 mld di dollari.

I dati non mentono e l’industria dell’intrattenimento elettronico ha margini assolutamente eclatanti. Il perché è semplice: si tratta di un comparto che non ha bisogno di materie prime rare bensì di conoscenza o di knowledge (per dirla all’americana) e di creatività. Se la prima possiamo importarla, la seconda – a noi italiani – davvero non manca! Il nostro Paese ha il dovere di tornare a competere con il resto del mercato videoludico nonché il potere di salire un giorno – non troppo lontano – su quel podio.

In questi giorni si è tanto parlato dell’epocale apertura del Comitato Olimpico ai videogiochi. Fa sorridere come da noi tante penne prestigiose ancora si meraviglino della forza di questo media. Eppure al resto del mondo questo percorso appare incredibilmente scontato: l’intrattenimento elettronico (volendo sostituire l’obsoleta parola videogioco) e gli sport elettronici (cosiddetti eSport) sono qui per restare. Questa decisione ci permette finalmente di guardare al futuro con un filo di speranza. Dove prima non vi era neanche una software house oggi se ne contano diverse decine, di cui due di livello internazionale come Milestone e Kunos Simulazioni. Nelle aule, dove prima non sarebbe mai entrato un videogioco, oggi quest’ultimo viene “trattato” con un atteggiamento di scoperta a beneficio di tutta la Nazione.

Insomma, la produzione di intrattenimento elettronico può essere determinante per lo sviluppo economico del nostro Paese. Per questo motivo è necessario che la politica – con lungimiranza – inizi a considerare con attenzione questo settore e comprenda altresì quanto sia importante investire nella creazione di una vera e propria filiera italiana, a iniziare dal prossimo tax break e ispirandosi alle best practice intraprese da Canada, Singapore, USA e UK.

Nel frattempo l’ultimo capitolo di Call of Duty (di proprietà della americana Activision Blizzard) ha incassato nei primi 3 giorni di vendita oltre 500 milioni di dollari.

Luca De Dominicis, direttore Accademia Italiana Videogiochi

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Mamma, ho (davvero) perso il videogioco?

Di Luca De Dominicis

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