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COSA È ACCADUTO

A spingere definitivamente il gigante Usa delle telco a dire no all’ultimo minuto ad un’intesa per la vendita degli smartphone (circostanza anticipata dal Wall Street Journal) sono state soprattutto le pressioni di alcuni membri delle Commissioni Intelligence di Camera e Senato che il 20 dicembre scorso avevano inviato una lettera alla Federal Communications Commission per evidenziare i propri timori nei confronti di un simile accordo.

Il no all’intesa non vieterà al colosso cinese di vendere al dettaglio i suoi prodotti sul mercato americano slegati da un operatore, né di cercare altri partner, ma ne ridurrà sicuramente la diffusione vista la tendenza dei consumatori a stipulare abbonamenti con pacchetti unici che prevedano sia l’uso dello smartphone sia i servizi telefonici e di rete.

TIMORI DIFFUSI

Huawei, aveva ricordato di recente lo storico ed economista Giulio Sapelli parlando all’agenzia specializzata Cyber Affairs, attira da tempo i “sospetti dei servizi d’intelligence occidentali, che la ritengono troppo legata al governo di Pechino”. Paure, tra l’altro, messe nero su bianco dal Congresso nella sua missiva ad AT&T.

In particolare, rilevano gli esperti, a preoccupare è la tendenza delle compagnie cinesi a utilizzare hardware – ad esempio microprocessori – completamente realizzato in patria e, dunque, al di fuori di ogni controllo di sicurezza. Tecnologia che, ha rimarcato di recente Michele Colajanni – professore dell’Università di Modena e Reggio Emilia, direttore della Cyber Academy e componente del Laboratorio Nazionale di Cybersecurity del Cini – se da un lato ha l’indubbio vantaggio di costare poco e ridurre così il prezzo dei dispositivi che si acquistano, dall’altro è “intrinsecamente più vulnerabile” ed espone dunque a maggiori rischi di attacco o spionaggio.

IL CYBERSPIONAGGIO CINESE

Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto sono sempre più forti le preoccupazioni della politica americana e non solo. Nelle scorse settimane sono stati i servizi d’intelligence tedesco e svizzero a denunciare lo spionaggio attuato da Pechino attraverso i social media grazie all’ausilio di profili ‘fake’. Mentre già qualche anno fa, nel 2012 – ricorda sempre il Wsj -Zte e la stessa Huawei erano state al centro di un’indagine di Capitol Hill che temeva avessero usato le loro apparecchiature per inviare dati sensibili al governo della Repubblica Popolare. Un’accusa rivolta nei mesi passati anche a DJI, importante azienda di droni sempre con radici in Cina.​

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