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Non c’è dubbio, invitare al Sum 02 di Ivrea Roberto Cingolani è stato un gran colpo per Davide Casaleggio. Formatosi al Max Planck di Stoccarda, il direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova è uno degli scienziati più citati al mondo per le scienze materiali. È l’ideatore dello Human Technopole, il centro di ricerca avanzata sul genoma che sorgerà nell’area Expo di Milano attraendo investimenti e i cervelli più ricercati d’Europa. Ma soprattutto, per restare in tema con la kermesse nata per ricordare la figura di Gianroberto Casaleggio, Cingolani è un visionario: in Italia come all’estero è conosciuto per le sue ricerche, ma anche per la sua visione di lungo, anzi lunghissimo periodo, su come in futuro tecnologia, Intelligenza Artificiale e robotica riusciranno a convivere con l’uomo, senza necessariamente soppiantarlo, a dispetto di alcune letture troppo allarmiste. Formiche.net lo ha intervistato a margine del suo incontro al Sum di Ivrea per capire cosa si aspetta (e auspica) dal futuro della ricerca italiana uno dei più grandi scienziati del nostro Paese.

Roberto Cingolani, il Sum di Ivrea è ispirato alla figura di Gianroberto Casaleggio, da molti considerato un visionario. Anche la scienza ha bisogno di visionari?

Credo sia una caratteristica degli esseri umani più intelligenti essere visionari. Servono in qualunque società civile, se non c’è qualcuno che ha una visione di medio-lungo termine il progresso è molto più lento. È dall’incontro fra visioni diverse che le società avanzano e l’antropologia evolve.

Un tema caro a Casaleggio è sempre stata la democrazia diretta. Anche la scienza, la medicina, la ricerca possono essere “democratiche”?

Scienza e democrazia non hanno niente a che vedere, la meccanica quantistica non richiede un voto e nemmeno il sole quando sorge. La democrazia è fondamentale per gestire i rapporti fra le unità biologiche, ma deve restare fuori dalla scienza.

Il titolo del Sum è “Capire il futuro”. Nel futuro prossimo c’è l’Intelligenza Artificiale, un traguardo confinato ai film di fantascienza fino a pochi anni fa. Sono fondate le preoccupazioni sull’impatto che avrà sul mondo del lavoro?

Francamente non capisco questi allarmismi. Probabilmente in passato qualcuno si è chiesto se il trattore avrebbe mai potuto sostituire il genere umano. L’I.A. è una tecnologia su cui stiamo lavorando perché ci serve e ci fa comodo. Temere che il nostro stesso prodotto ci tolga l’erba sotto i piedi mi sembra eccessivo. È ovvio che trattandosi di tecnologie molto potenti, se dovessero sfuggire al controllo, esattamente come può sfuggire un’automobile in autostrada o un aereo in volo, potrebbero creare dei danni. Starei attento però a passare da una fase di naturale prudenza alla fantascienza di chi pensa un giorno di svegliarsi temendo di essere soppiantato dall’I.A.

Quindi l’automazione non mette a rischio l’occupazione?

Vogliamo che il Pil cresca del 2-3%? Se non possiamo aumentare la produzione indiscriminatamente e neanche fare turni di lavoro da 24 ore al giorno, allora abbiamo bisogno delle macchine, la decrescita felice non è una soluzione. Sicuramente alcuni posti di lavoro sono a rischio, soprattutto quelli di alta routine, quindi è giusto parlarne.

Come sfruttare l’automazione a favore del mondo del lavoro?

Serve un programma speciale di rieducazione del lavoro a partire dalle scuole. L’automazione della robotica non deve essere vista come aumento indiscriminato della produzione a costo di fare una strage sociale, ma come una tecnologia per migliorare la manifattura e, a parità di produzione, abbattere il consumo di energia e di acqua, la produzione di cox, far crescere il pil non per aumentare il numero di prodotti al giorno ma per migliorare il loro costo unitario attraverso un’economia circolare.

Lei è stato costretto a tornare in Italia da giovane per motivi personali, e in Italia ha iniziato la carriera che l’ha resa famosa anche all’estero. Cosa avrebbe fatto se fosse stato libero di scegliere?

Sarei stato in Giappone o in Germania. La storia era scritta su quella direttrice, poi se avessi trovato un’italiana miliardaria che mi avesse mantenuto sarei tornato comunque (ride, ndr).

È preoccupato dalla fuga di cervelli dei ricercatori italiani all’estero?

Ci mancherebbe che i nostri cervelli non vadano all’estero. Il più grande errore che si possa fare è confondere la fuga dei cervelli con il bilanciamento dei flussi. Il nostro problema non è che i nostri ragazzi vanno fuori, mio figlio è in Svezia da tanto tempo ed è giovanissimo. Il nostro problema è che non attraiamo cervelli dall’estero, perché le nostre regole non sono attrattive. Una società avanzata ha un flusso di entrate che eguaglia il flusso di uscite, i nostri cervelli devono andare fuori e “sprovincializzarsi”, per poi tornare se possibile. Il bilancio deve essere in pari: i nostri ricercatori possono non rientrare, ma allora voglio un tedesco, uno svedese, un americano che prendano il posto dei nostri figli.

Cosa non funziona nel mondo della ricerca italiana rispetto all’estero?

Semplice: il reclutamento, che non si fa come all’estero. Lo stesso vale per i nostri dottorati di ricerca.

C’è ancora rimpianto per la mancata aggiudicazione dell’Ema a Milano?

L’Ema sarebbe stata un’agenzia importantissima per l’Italia. Averla insieme allo Human Technopole sarebbe stato ideale. Sono un po’ deluso come cittadino, mi pare che non ci fossero i presupposti tecnici perché, sulla base di un pareggio, si potesse andare a sorteggio. Scoprire ex post che il pareggio non era tale fa veramente male, se avessimo fatto noi quello che hanno fatto gli altri ci avrebbero crocifisso.

Lei è stato l’ispiratore dello Human Technopole di Milano. La sua apertura può essere una rivincita rispetto alla delusione dell’Ema?

L’Ema è un’agenzia importantissima, ma sono due campionati diversi. Lo Human Technopole è una grande infrastruttura scientifica. Non me lo sono inventato in una notte, ma con lo sguardo rivolto allo standard internazionale. Una grande infrastruttura di ricerca collegata alle cliniche per lo storage, la genotipizzazione, il calcolo è una cosa necessaria a un Paese avanzato.

Non avere paura del futuro. Parla Roberto Cingolani (da Sum02)

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