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Il 2020 sarà l’anno spartiacque per la diffusione dell’auto elettrica, dopo il quale i veicoli a zero emissioni costeranno come le auto a benzina e conquisteranno il mercato di massa. Nel 2040, prevede Bloomberg New Energy Finance, il 67% delle auto nuove vendute in Europa sarà a zero emissioni, come il 58% negli Usa e il 51% in Cina. Ognuno di questi veicoli avrà bisogno della batteria ricaricabile a ioni di litio: Volkswagen ha calcolato che l’industria globale dell’auto necessiterà nel 2025 di una capacità complessiva di oltre 1,5 Terawattora (TWh) – per fare un confronto l’obiettivo della gigantesca fabbrica che Tesla sta costruendo in Nevada, la Gigafactory, è di 35 Gigawattoora (GWh) nel 2018. Secondo Bloomberg Energy Finance, la capacità produttiva per le batterie a ioni di litio sarà di 270 GWh nel 2021. C’è un gap da superare, e occorre superarlo in fretta se l’industria automobilistica vuole mettere il turbo allo sviluppo dell’auto elettrica. Il primo compito è garantirsi forniture stabili dei metalli contenuti nella batteria: litio, cobalto, nickel, grafite, manganese, alluminio.

LE MANOVRE DI VOLKSWAGEN

La casa automobilistica tedesca Volkswagen è una delle prime ad attrezzarsi per far fronte ai prossimi mutamenti sul mercato delle materie prime per la batteria elettrica. Decisa a mettersi alle spalle la vicenda del Dieselgate, il gruppo di Wolfsburg punta sull’offerta a emissioni zero: l’obiettivo è arrivare a produrre 3 milioni di veicoli elettrici l’anno entro il 2025 e in cantiere ci sono una trentina di modelli diversi. Nei giorni scorsi Volkswagen ha invitato i maggiori produttori mondiali di cobalto a partecipare a una gara per una fornitura decennale a partire dal 2019, secondo quanto riportato da Reuters. La casa tedesca non ha confermato, ma ha dichiarato che avrà bisogno di oltre 150 GWh di capacità annuale per le batterie delle sue auto elettriche entro il 2025 e ha avviato un piano per l’approvvigionamento dei materiali necessari che viene definito “uno dei più imponenti nella storia dell’industria dell’automobile”, per un valore complessivo (non solo per il cobalto) di 50 miliardi di euro. Consapevole di costi e rischi legati al mercato del cobalto, Volkswagen cercherebbe accordi con l’industria che la proteggano dalle oscillazioni nell’offerta e “blocchino” il prezzo.

Già lo scorso luglio Volkswagen ha giocato un ruolo decisivo nell’accordo siglato tra il colosso minerario Glencore e il produttore cinese di batterie a ioni di litio Contemporary Amperex Technology: la cinese ha firmato per una fornitura di 20.000 tonnellate di cobalto in quattro anni grazie all’impegno di Volkswagen a comprare le sue batterie. Reuters sostiene che Volkswagen si sia assicurata un prezzo di 28.500 dollari per tonnellata; pochi giorni dopo il valore del cobalto è schizzato a 58.000 dollari e ora supera i 65.000 dollari per tonnellata.

CHI COSTRUISCE BATTERIE

La questione dell’approvvigionamento di metalli toccherà tutti i costruttori. Per esempio Tesla e la sua Gigafactory in Nevada – un progetto da 5 miliardi di dollari, già operativo ma realizzato al 30% e che ha ricevuto 1,5 miliardi di dollari di finanziamenti dal costruttore di batterie giapponese Panasonic. In Europa il produttore svedese di batterie a ioni di litio Northvolt (azienda fondata dall’ex manager di Tesla Peter Carlsson) ha annunciato la costruzione in Svezia della più grande fabbrica europea di batterie per veicoli elettrici, con una capacità di 32 GWh nel 2023, per un costo complessivo di 4 miliardi di euro. Nell’impresa ha già un alleato, il gruppo svizzero dell’ingegneria ABB.

In Germania, Daimler ha avviato in estate i lavori per una fabbrica di batterie a 130 km da Berlino col contributo di 500 milioni di euro di fondi pubblici; negli Stati Uniti, Mercedes-Benz, parte del gruppo Daimler, ha annunciato un investimento da un miliardo di dollari per fabbricare le sue auto elettriche EQ e le relative batterie. Intanto la Cina, già primo fornitore mondiale di batterie a ioni di litio, ha annunciato per il 2021 il completamento di tre nuove fabbriche con capacità totale di 120 GWh annui.

COME GONGOLANO I GRUPPI DEL MINING

A sfregarsi le mani sono alcuni colossi del mining. La multinazionale anglo-svizzera Glencore, in particolare, è il massimo produttore mondiale di cobalto: secondo il Financial Times controlla quasi un terzo delle forniture globali e ogni incremento di un dollaro sul prezzo del cobalto si traduce per Glencore in 55 milioni di dollari di guadagni. Gli analisti di Jefferies Group consigliano questa azienda e altri fornitori come Freeport-McMoRan e First Quantum Minerals per gli investimenti a lungo termine perché il cobalto è un minerale costoso e dalla supply chain fragile. Il prezzo del cobalto è cresciuto del 70% quest’anno sul London Metal Exchange, dopo una crescita del 37% nel 2016; il primo paese dove viene estratto è la Repubblica Democratica del Congo e quest’anno una penuria di arrivi di cobalto dalla RDC dovuta alla crisi politica nel paese ha causato un incremento del 90% nel prezzo. Macquarie Research prevede una carenza severa ancora per i prossimi anni a causa delle incertezze nella RDC.

Per contrastare lo stra-potere di Glencore e cercare fonti di approvvvigionamento meno costose e più stabili, il gruppo canadese First Cobalt ha detto che cercherà di trovare nuove miniere in Nord-America e spera in importanti scoperte in Idaho e Ontario.

Anche le aziende del mining australiane si rivitalizzano. Pilbara Minerals si è appena aggiudicata un investimento da Great Wall Motors, il più grande produttore privato di automobili in Cina, che con l’equivalente di 28 milioni di dollari comprerà il 3% circa delle azioni dell’azienda australiana e si assicurerà in cambio una fornitura di 150.000 tonnellate annue di spodumene (minerale da cui si ricava litio), del valore stimato di 135 milioni di dollari. Great Walls Motors presterà anche 50 milioni di dollari a Pilbara Minerals per finanziare l’ampliamento dell’impianto estrattivo.

“I costruttori di auto elettriche devono preoccuparsi di evitare che la produzione dei metalli che servono per la batteria sia appannaggio di un singolo paese”, ha scritto Ben McLellan, senior research fellow della Kyoto University, sulla rivista accademica The Conversation. “Senza fonti molteplici, il rischio di strozzature nella supply chain è reale”.

ROSATOM, DALL’URANIO AL LITIO

Ma probabilmente gli automakers troveranno come rifornirsi: il business dei metalli per la batteria ricaricabile a ioni di litio è promettente e i player si moliplicano. Nell’arena è saltata anche l’azienda di stato russa del’energia nucleare, Rosatom, che vuole estrarre e vendere litio e altri metalli usati per le batterie delle auto elettriche e gli accumulatori di energia, riporta Bloomberg. “L’evoluzione del mondo auto sta procedendo più rapidamente del previsto e vogliamo essere presenti su tutta la linea di prodotti necessari, dal litio alle batterie; non escludiamo collaborazioni con i costruttori d’auto”, ha dichiarato Kirill Komarov, vice-direttore del gruppo russo.

Per Rosatom si tratta di una diversificazione necessaria: i prezzi del litio sono più che raddoppiati negli ultimi due anni  a circa 14.000 dollari a tonnellata, mentre quelli dell’uranio sono scesi del 40% dalla fine del 2014 (dati UBS). Komarov ha confermato: “Rosatom vuole arrivare nel 2030 a generare il 30% delle sue entrate da rami di attività esterni all’energia nucleare”. L’azienda russa ha già una divisione che produce composti del litio e la sua sussidiaria Atomredmetzoloto JSC starebbe trattando per entrare nell’estrazione riportando in attività una miniera siberiana da cui in era sovietica si estraeva litio (è ferma dagli Anni ’90); Rosatom potrebbe anche investire in miniere in Sud America; intanto ha aperto una filiale in Svizzera che si occupa di trading di metalli.

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