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Dopo un contatto telefonico tra Alexis TsiprasVladimir Putin, Atene dice no all’espulsione di diplomatici russi, all’indomani della decisione di Londra e Washington seguita a ruota da molti paesi Ue. Ma cosa c’è dietro il passo felpato di Tsipras? Al di là della letteratura fiorita nell’anno della crisi economica (con, si diceva, Mosca pronta a fornire 5 miliardi di euro cash la notte del referendum del 2015) c’è un lungo intreccio di rapporti, affari, investimenti che Mosca ha fatto e sta continuando a fare ad Atene.

E soprattutto c’è la geopolitica che impone alla Grecia di lasciare più di una porta aperta a Mosca oggi, così come ieri fatto con Washington durante gli anni della guerra fredda quando la capitale ellenica era crocevia di scambi, incontri e sgarbi.

CRISI GRECA

C’è un giorno cerchiato di rosso nel racconto della crisi economico-finanziaria ellenica che analisti e testimoni oculari presenti in quelle settimane ad Atene non scorderanno. Era la notte delle elezioni, quella che incoronò Alexis Tsipras come l’uomo nuovo, in grado di (parole testuali dell’attuale pemier) “sconfiggere la troika, chiudere con il circolo vizioso dell’austerità, annullare il memorandum”. Il primo incontro del neo premier si formalizzò con l’allora ambasciatore russo ad Atene. Furono gettate le basi per un rapporto intenso e duraturo, tarato su una contingenza unica nel suo genere per quanto riguarda il vecchio continente: la bancarotta di uno Stato membro.

Quell’incontro segnò una plastica cesura con la politica del passato e proiettò idealmente Paesi e governi ad un’altra notte simbolica per i destini dell’eurozona e della moneta unica: il 5 luglio di quello stesso anno i greci votarono al referendum sul memorandum, che nei fatti si trasformò in una sorta di referendum sull’euro. I no al 61% furono epitetati da Tsipras non come un no all’euro, ma in quei frangenti il paese era di fatto senza liquidità.

Addirittura JpMorgan e Barclays dissero che l’uscita dall’euro di Atene era “lo scenario più probabile”. Mentre il ministro Varoufakis chiedeva all’Ue di curare “le nostre ferite” e l’allora presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem trascorreva una notte nel gabinetto di crisi Ue con Juncker, Draghi e Tusk. Ore in cui circolò con inistenza la voce che Mosca era pronta a fornire 5 miliardi di euro cash per evitare il crac.

ATENE-MOSCA

Ma al di là di indiscrezioni e rumors, il filo che lega saldamente Atene a Mosca è fatto da segmenti solidi e per certi versi di acciaio, in virtù di rapporti e affari legati al gas, al petrolio, alle materie prime e al cono di interesse che Mosca continua a nutrire nei Balcani.

Primo punto di raccordo è nell’oligarca ellinorusso Ivan Savvides, 30mo uomo più ricco di Russia, finito nell’occhio del ciclone per aver fatto un’invasione di campo durante la gara di calcio della sua squadra (il Paok Salonico) pronto a mostrare la sua pistola all’arbitro. Ha privatizzato il porto containers di Salonicco assieme ai tedeschi e marsigliesi di Cma in chiave anti Cosco: l’idea originaria, poi naufragata, era di un nuovo Trans Europe Express Atene-Mosca ad alta velocità, per “dotare” Mosca di uno sbocco portuale nel Mediterraneo. Al momento tre soggetti russi molto forti, come Rosneft, Gazprom e Sintez, sono presenti in maniera significativa in Grecia, con il macro obiettivo di utilizzare Atene come trampolino mediterraneo.

OCCHIO AI BALCANI

Rosneft controlla il 20% dell’austriaca Centracore, società che ha avanzato un piano di salvataggio per la greca Jetoil e i suoi impianti di Kalochori, con 15 silos da 200.000 metri cubi. Kalochori è vettore nevralgico perché fino al 2013 da lì partivano 2 milioni di metri cubi di carburante all’anno, di cui il 70% destinato ai Balcani (Kosovo, Serbia e Montenegro).

Inoltre da poco meno di un biennio in Grecia è attiva Gazpromneft-Lubricants, una delle nuove realtà emergenti nel campo dei lubrificanti, costola di Gazprom Neft. È recente l’inaugurazione sul territorio una mega sede con l’obiettivo per il 2018 di una rete di vendita al dettaglio capace di interfacciarsi con altre realtà come Italia e Ungheria. Una mossa che nasce dalla volontà di Gazprom di intensificare la propria presenza nel mercato dell’energia greco con Prometheus Gas, che punta con forza ad una stagione di privatizzazioni nel settore energetico.

Proprio Gazprom nel 2013 si disse pronta a staccare un assegno da 5 miliardi contando sul canale preferenziale con l’allora ministro dell’energia, Panaghiotis Lafazanis, come anticipo per il gasdotto Turkish Stream. Il colosso guidato da Aleksej Borisovič Miller ha da tempo lavorato per ottenere la partnership con i greci di Depa e gli italiani di Edison in quella macro regione.

Infine Sintez, realtà guidata dall’oligarca Leonid Lebedev, che guarda a due progetti in Grecia. Un gasdotto da realizzare lungo la tratta Salonicco-Skopje e una società di distribuzione del gas da impiantare nel nord della Grecia con l’obiettivo di alimentare centrali elettriche per i paesi del costone balcanico. Sintez nel 2013, in partnership con Gazprom, era stata ad un passo dal privatizzare il gruppo ellenico Depa-Desfa.

twitter@FDepalo

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