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La Russia cerca il modo di evadere le sanzioni internazionali e tra le opzioni spunta il Venezuela. Mentre gli Stati Uniti hanno bloccato qualsiasi transazione fatta con la criptomoneta Petro inventata dal regime di Nicolás Maduro, il governo russo sarebbe pronto ad eseguire transazioni finanziarie con la moneta virtuale. Non per aiutare alla ripresa economica del Paese sudamericano ma per arrivare dove le restrizioni internazionali glielo impediscono.

Secondo la rivista Time, dietro al lancio di Petro c’è l’ombra di Mosca, che vuole testare l’efficacia della criptomoneta prima di presentare la propria. Nella sua ultima edizione la pubblicazione sostiene che il governo di Vladimir Putin abbia interessi nell’operatività della moneta virtuale venezuelana perché questa potrebbe aiutare i russi a realizzare operazioni finanziarie ora limitate.

ASSISTENZA ARRIVATA DA MOSCA

Per il Time, il regime di Maduro si è appoggiato ad imprenditori russi che sono stati consiglieri speciali nel lancio di Petro. Alla presentazione ufficiale di Petro erano presenti gli imprenditori russi Denis Druzhkov e Fjodor Bogorodskij. Il Time sostiene che anche il ministero delle Finanze russo sarebbe coinvolto nel progetto. Il ministro dell’Economia venezuelano, Simón Zerpa, ha incontrato l’omologo russo a Mosca e ha scritto su Twitter: “In questa riunione abbiamo discusso la cooperazione economica e finanziaria tra i nostri Paesi con enfasi sulla nuova criptovaluta venezuelana: il Petro”.

“CRIPTONITE” CONTRO IL DOLLARO

Fonte russe consultate dalla rivista hanno commentato anche l’interesse di Putin nella proliferazione di criptomonete nel mondo – specialmente quelle di Paesi alleati, come il Venezuela – per cercare di minare l’egemonia del dollaro nelle transazioni internazionali e aggirare le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e l’Unione europea che limitano compagnie e banche russe vicine al Cremlino dopo la crisi della Crimea e l’Ucraina. Maduro ha dichiarato che la criptomoneta Petro sarà una specie di “criptonite” contro i superpoteri degli Stati Uniti. Prima del decreto presidenziale firmato da Donald Trump il 19 marzo, il governo venezuelano sperava in un incasso di circa cinque miliardi di dollari grazie agli investimenti attratti da Petri. Secondo il presidente venezuelano, ad ogni Petro avrebbe corrisposto un barile di petrolio. Era in programma l’emissione di 100 milioni di Petro. L’ordine della Casa Bianca però ha vietato l’acquisto e l’utilizzo della moneta virtuale venezuelana.

L’INTERESSE RUSSO PER IL VENEZUELA

Negli ultimi anni la Russia ha assistito economicamente più volte il Venezuela. Il ministero degli Affari esteri venezuelano, Jorge Arreaza, ha annunciato che a breve ci sarà un incontro tra Maduro e Putin per consolidare una serie di accordi bilaterali nel settore tecnologico, di difesa e acquisto di materiale bellico. Il Cremlino ha dovuto smentire le voci sul presunto pagamento del debito con i Petro, ma continua con l’acquisto di titoli della statale petrolifera venezuelana Pdvsa.

IL CASO DELL’IRAN

La strategia di Mosca svelata dal Time non sembrerebbe nuova. Nel 2015, per aggirare le sanzioni internazionali, in Iran è stato creato un sistema di “imprese fantasma” che serviva per svolgere azioni finanziarie sotto copertura. L’imprenditore iraniano Ali Sadr Hashemi Nejad è stato arrestato la scorsa settimana nello stato di Virginia per ordine del Dipartimento di Giustizia americano. È accusato di avere fatto transazioni per circa 115 milioni di dollari dal Venezuela attraverso gli Stati Uniti. La famiglia Sadr controlla l’impresa Stratus Group, che ha vinto una concessione di 476 milioni di dollari per la costruzione di 7000 abitazioni in Venezuela. Evase le limitazioni tramite il Venezuela, i soldi sono circolati e arrivati a destinazione, anche se le case non sono mai state fatte.

Tutti gli interessi russi per la criptomoneta del Venezuela

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