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Mentre si riaccendono i riflettori sull’intervento francese in Libia nel 2011 e Sarkozy lascia il commissariato di Nanterre dopo essere stato trattenuto per 25 ore con l’accusa di corruzione passiva e finanziamento illecito da parte di Gheddafi, tornano attuali i rapporti tra l’Italia e i cugini francesi (C’è più di qualche insofferenza nel rapporto con Parigi, ha detto Cicchitto intervistato da Formiche.net). E la chiave va cercata proprio in quel conflitto libico scatenato da Sarkozy. Romano Prodi ne è convinto fin da tempi meno sospetti. Lo raccontava già un anno fa circa a Roberto Napoletano, ex direttore del Sole 24 ore intento nella scrittura di quello che fu a distanza di qualche mese Il cigno nero e il Cavaliere bianco, il suo best seller edito da La nave di Teseo cfhe racconta gli anni della grande crisi che ha colpito al cuore l’Italia e l’Europa.

Parole amare quelle di Prodi a Napoletano, che narrano di una vicenda, quella libica, vissuta (o meglio dire mancata) in prima persona, con una convinzione. Quella che la Francia ha sempre agito con il preciso intento di danneggiare l’Italia approfittando della sua debolezza.

“Io credo che la nostra situazione di debolezza politica sia anche stata utilizzata a scopo di potere dei nostri cari amici, dai nostri cari alleati”, racconta Prodi ricordando come “in troppi eventi di politica internazionale si è giustificato l’intervento come unico strumento per combattere una dittatura ma non si è agito nei modi appropriati per preparare il cambiamento. Non si è agito con i tempi necessari per costruire la democrazia, che non si costruisce in un attimo con le armi o con la sanzione, ma passo dopo passo, con fermezza. Non con comportamenti in cui lo strumento militare diventa quello esclusivo”.

Prodi si riferisce indubbiamente alla Libia: “Si era aperto in Germania uno spiraglio che sembrava privilegiare il dialogo sui conflitti ma poi, anche in Germania, non se ne fece nulla”, si legge nel romanzo che si avvale di testimonianze esclusive.

La storia del professore narra di una mediazione mancata nella vicenda specifica della Libia e – spiega Napoletano – “mette a nudo incongruenze nostre e degli altri e, soprattutto, disvela un fil rouge tutto francese di interessi e convenienze che devono far riflettere”. Ecco perché nella confessione dello stesso Prodi: “Vi è una lettera firmata da 25 capi di stato e autorevoli politici africani, datata il 20 agosto del 2011, che chiedono al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon (con Gheddafi ancora in vita) di mandare il sottoscritto in Libia per mediare tra le fazioni e provare a ricomporre il puzzle. La prima di una serie di lettere (compresa quella del presidente dell’Associazione delle tribù) con motivazioni analitiche che concludono con ‘we strongly recommend’ di nominare Romano Prodi mediatore in Libia. Ban Ki-moon risponde a tutti i capi di stato dicendo che la cosa va considerata con attenzione, e che ne farà parola ai governi interessati. Poi non se ne fece nulla. Non so se sia stato per l’opposizione di Sarkozy o di Berlusconi o di tutti e due. So solo che non se ne fece nulla”.

Ma il professore non demorde e con Renzi premier è lui stesso a chiedere a Palazzo Chigi di mandarlo come mediatore. “Renzi mi rispose che coltivava un’altra alternativa: farmi segretario dell’ONU. Risposi ovviamente che, non solo per l’età, questo era impossibile. Ed è ovviamente quello che avvenne. Il nuovo segretario dell’Onu (l’ottimo portoghese Guterres) ha infine elaborato una dottrina formalmente credibile, e cioè che non si può designare come inviato in un paese un cittadino appartenente a un paese che aveva avuto un potere coloniale nel paese stesso”. Peccato che, racconta Prodi, l’Onu nominò come mediatore un libanese cittadino francese: “È vero che la Francia non ha avuto alcun potere diretto sulla Libia ma certo è anche stato protagonista attivo (anzi troppo attivo) delle vicende libiche”.

Una delle strade percorse, non solo nel libro di Napoletano, per spiegare la guerra scatenata dall’allora presidente francese contro la Libia è l’acquisizione di una posizione di supremazia ai danni dell’Italia nello sfruttamento delle risorse energetiche libiche. Perché – sottolinea l’ex direttore del Messaggero e del Sole 24 ore – se nel marzo del 2011 l’obiettivo dichiarato per bombardare la Libia fu quello di portare la pace, a questo se ne aggiunge uno “reale di fare saltare il fortino italiano dell’Eni”. Questo spiegherebbe secondo il libro perché i nostri “cari alleati non si sono dati pace fino a quando nella guerra contro Gheddafi i terminali della compagnia petrolifera italiana fossero inseriti tra gli obiettivi da bombardare. Ne sanno qualcosa l’ex ministro degli esteri Frattini e l’allora capo di stato maggiore Camporini”.

Napoletano a tal proposito racconta di un suo colloquio con Claudio Descalzi, in cui fu lo stesso amministratore delegato di Eni a dire che gli accordi petroliferi non li fanno le società, ma le nazioni raccontando che quando Matteo Renzi si battè per ottenere la fine delle sanzioni contro la Russia la posizione di Germania e Francia fu irremovibile. Buffo, però, che parallelamente la stessa Germania costruì il gasdotto del nord con lo stesso Putin e nella società entrarono la Francia e i paesi del Nord, Italia esclusa.

Quello del novembre del 2011 fu un complotto contro l’Italia? “No, nessun complotto, sono tutte cose lineari. I francesi, soprattutto, fanno sistema da sempre e ora vogliono farlo anche in Italia: direi che è regolare”, afferma Descalzi.

Oggi, a distanza di anni ed a leggere le indagini in corso, scopriamo che Sarkozy faceva sistema a parte.

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