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Dieci giorni fa si è concluso il tour africano del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Accompagnata dai vertici di Eni – il presidente Claudio Descalzi e il vice-presidente Lapo Pistelli – la delegazione del governo ha fatto tappa in Tunisia, Angola, Ghana e Costa d’Avorio. Il bilancio del viaggio conferma Eni come primo produttore internazionale del continente, con più di 3500 dipendenti. Formiche.net ha chiesto a Pistelli – che di Eni è il direttore delle Relazioni Internazionali – come si evolverà la strategia del Cane a sei zampe in Africa.

Direttore, un bilancio del viaggio in Africa assieme al presidente Gentiloni?

È un bilancio molto positivo, perché consolida l’impegno dell’Italia in alcuni paesi-chiave del continente ed è coerente con il maggior impegno annunciato dall’Unione Europea. Per quanto riguarda Eni, la visita è stata l’occasione per condividere con il presidente Gentiloni le nostre eccellenze tecniche, tecnologiche ed operative; al contempo durante il viaggio sono stati siglati accordi che rafforzano la nostra posizione in Angola e Ghana, gettando le basi per ulteriori sviluppi nell’esplorazione, nell’oil&gas, nella raffinazione e nelle rinnovabili.

Che ruolo giocano gli investimenti di Eni nell’energetico per la stabilizzazione politica di questi Paesi?

Come diciamo spesso, noi cresciamo solo se crescono i Paesi in cui operiamo. In tutti gli Stati in cui opera, Eni coniuga investimenti nelle proprie attività tipiche e in quelle più recenti come le energie rinnovabili ad interventi di impatto sociale sulla formazione, la sanità, l’agricoltura, avendo sempre in mente di massimizzare l’accesso all’energia, la vera sfida per il continente africano. Inoltre, abbiamo piani di valorizzazione del local content, cioè dell’acquisizione di beni e servizi da fornitori locali. Per rimanere ai due Paesi in cui abbiamo accompagnato il Primo Ministro, in Ghana gli investimenti ammontano finora a circa 7 miliardi, in Angola a circa 10 miliardi.

Sono determinanti al fine di contenere i flussi migratori per l’Europa?

Difficile dire che siano determinanti. Certo, in molti Paesi africani, gran parte della popolazione non ha accesso o non ha accesso stabile e sicuro all’energia. L’energia è un diritto umano fondamentale. Senza energia, per i giovani è difficile studiare, per una qualsiasi piccola attività economica è difficile crescere, per le industrie è difficile investire. L’accesso all’energia è un primo tassello, ma è certo una componente che potrebbe ridurre quella molla che spinge a scappare, a cercare opportunità migliori altrove.

L’approccio dual flag di Eni comporta l’affidamento di una parte dei contratti alle aziende locali. C’è un effettivo ritorno positivo sull’economia e la società di questi Paesi?

Con l’approccio dual flag Eni si propone di cooperare con i Paesi ospitanti nell’individuare opportunità di sviluppo economico e sociale che siano sostenibili e che coinvolgano comunità locali. Nel caso del Ghana, gli investimenti legati al progetto OCTP hanno creato una notevole ricaduta per il local content, 320 contratti per un controvalore di quasi 2 miliardi di dollari, 17 milioni investiti in progetti sociali e sanitari, e oltre 5 milioni per attività di training. In Angola il contributo di Eni al local content è invece di oltre 5 miliardi di dollari distribuito su circa 400 contratti di fornitura. Altri 5 milioni di dollari sono stati spesi per progetti sociali relativi all’acqua, all’educazione, al training.

L’eccessiva dipendenza di Stati come Ghana e Angola dal petrolio rischia di causare un’instabilità cronica delle loro economie?

Tutte le economie che dipendono da una sola prevalente fonte di ricchezza devono superare il rischio che gli storici dell’economia chiamano “dutch disease”, il rischio cioè di un circolo vizioso che uccide la diversificazione e fragilizza quella dipendenza esclusiva. Sia in Ghana che in Angola, ma anche negli altri Paesi in cui operiamo, Eni collabora con le istituzioni per contribuire alla diversificazione dell’economia.

C’è un inizio di diversificazione energetica verso fonti di energia rinnovabile?

Come ha detto Descalzi durante la visita col presidente Gentiloni sulla nave FPSO Kufuor, gas e rinnovabili sono la formula vincente della transizione verso un futuro energetico sostenibile. Sia in Ghana che in Angola le istituzioni hanno ben chiaro che le fonti rinnovabili possono dare un notevole contributo: il Ghana si è dato l’obiettivo del 10% di energia da fonti rinnovabili al 2020. Perciò abbiamo siglato alcuni mesi fa un accordo con la SADA – Savannah Accelerated Development Authority, per valutare la fattibilità tecnico-economica di un impianto solare da 20 a 50MW nella Northern Savannah Ecological Zone (NSEZ), nel nord del Ghana. Accordi analoghi sono in definizione anche in altre regioni del Paese.

A che punto è il progetto Eni Offshore Cape Three Points (OCTP) in Ghana?

OCTP ha iniziato la produzione di petrolio lo scorso maggio, in anticipo di 3 mesi rispetto al piano di sviluppo e con un time-to-market record. La FPSO Kufuor – l’unità galleggiante di produzione, stoccaggio ed offload – ha già raggiunto il picco di 45,000 barili al giorno, con un anno di anticipo sulle previsioni. Il first gas, cioè l’avvio della produzione di gas, è previsto per la metà del 2018, con il completamento della costruzione dello stabilimento onshore che riceverà il gas e lo immetterà nella rete ghanese di gasdotti.

Qual è la strategia di Eni per la Libia, dove in aprile è stato scoperto un nuovo giacimento di gas?

La Libia è un paese strategico per noi e per l’Italia. Siamo lì da sempre, siamo i loro vicini e abbiamo interesse alla sua stabilizzazione. La nostra produzione attuale è tornata abbastanza stabilmente ad un buon livello – sopra i 300mila barili di olio equivalente al giorno – e siamo tuttora attivi anche nell’esplorazione: ad aprile abbiamo annunciato una nuova scoperta a gas e condensati nel prospetto esplorativo Gamma, nell’area contrattuale D, a 140 chilometri al largo di Tripoli. Inoltre abbiamo ripreso lo sviluppo della seconda fase del giacimento giant offshore di Bahr Essalam, per il quale è atteso il primo gas entro il 2018.

Il governo di Fayez al-Sarraj è un interlocutore affidabile e sufficiente?

Con il presidente al-Sarraj c’è un rapporto di stima e fiducia reciproca. La situazione nel Paese è certamente complessa, ma continuiamo a guardare al futuro con realismo ed ottimismo. Siamo rimasti nel Paese anche in situazioni di estrema instabilità – e i libici lo sanno – grazie al rapporto e all’integrazione che abbiamo storicamente sviluppato con il popolo libico. La nostra filosofia è quella di lavorare a fianco delle popolazioni che ci ospitano, di supportarle, e questo soprattutto in Stati che come la Libia ci hanno dato tanto: buona parte del gas che produciamo lo destiniamo al domestico, alimentando le centrali elettriche del Paese, il che significa contribuire a mantenerlo in vita.

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