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Sembrerà paradossale ma proprio ora che la Lega ha completamente abbandonato la sua idea di separazione del nord dal sud, la secessione si è sostanzialmente compiuta. I segnali c’erano tutti. I governi del centrosinistra sono stati in questi cinque anni a trazione nordista, con Expo 2015 e non solo. Il centrodestra allo stesso modo ha investito più facilmente nei referendum per la maggiore autonomia. Il Mezzogiorno è stato territorio di scorribande di interessi clientelari e relazioni pericolose con il risultato di allontanare in modo inquietante i cittadini dalla politica, almeno da quella “tradizionale”.

Lo scandalismo propagandato dai mezzi di comunicazione, non solo i social ma anche e soprattutto la televisione (Renzi e Berlusconi dovrebbero riflettere sul disastro comunicativo di Rai e Mediaset), hanno dipinto un quadro così negativo che la reazione non poteva che essere di rivolta. Anzi le percentuali bulgare ottenute dal Movimento 5 Stelle, che non hanno precedenti storici nella nostra democrazia, sono comunque apprezzabili perché almeno la protesta si è incanalata in una proposta che è dentro le istituzioni. Il dramma della disoccupazione giovanile unita alla percezione della corruzione e comunque della disuguaglianza rispetto al resto del Paese è stato largamente ignorato o comunque non affrontato seriamente.

Il ministro Claudio De Vincenti che pure si è molto esercitato in politiche per lo sviluppo ha accettato di essere candidato al Nord. Difficile dire se davvero gli abitanti delle regioni meridionali credono alla ricetta pentastellata basata sostanzialmente su una rassicurante forma di assistenzialismo. Di certo c’è che per la politica italiana si pone ora un grattacapo non da poco. Come affrontare la tanto conosciuta ed ignorata questione meridionale? Il tema paradossalmente investirà soprattutto Luigi Di Maio ed il suo Movimento. Percentuali che sfiorano o superano il 50% consegnano una responsabilità da non dormirci la notte.

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