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Mentre la banca marcia spedita verso la quotazione (il via libera della Consob al prospetto è atteso per la fine della prossima settimana), si accende il confronto sulla nuova governance di Mps. La riscrittura dello statuto (al quale il Tesoro lavora in stretto contatto con lo studio Orrick e con Deloitte) si sta rivelando particolarmente impegnativa, specie perché gli interessi del nuovo socio di maggioranza e degli altri azionisti rischiano di confliggere.

COSA SI DICE AL TESORO

Da un lato alcune anime di via XX Settembre vorrebbero affermare con decisione la presenza pubblica nella banca, forti di una quota che alla fine dello swap con gli ex bondholder arriverà al 67,76%. Secondo questa corrente di pensiero insomma la maggioranza del Consiglio di amministrazione dovrebbe essere espressione di chi ha investito 5,3 miliardi sonanti nel salvataggio. Per farlo però bisogna riscrivere l’articolo 14 del vecchio statuto della banca, quello che per l’appunto limitava il diritto di voto del primo socio. Il documento (a suo tempo avallato proprio dal Tesoro) prevedeva specifiche limitazioni per la fondazione che in assemblea avrebbe potuto votare “limitatamente un numero di azioni che rappresentino la differenza più una azione fra il numero delle azioni ordinarie detenute e l’ammontare complessivo delle azioni ordinarie detenute da parte dei rimanenti soggetti che siano presenti e ammessi al voto al momento della votazione”, spiega lo statuto. Oggi il Tesoro vorrebbe rivedere quella vecchia regola, per avere maggior margine di manovra sulla governance della banca. Del resto il 67,76% in mano via XX Settembre è qualcosa di molto diverso dal 51% detenuto in passato dalla Fondazione Mps.

LE ATTESE DELLE MINORANZE

Le minoranze però puntano i piedi. Tra queste ci sono gli investitori domestici e internazionali coinvolti loro malgrado nella conversione dei bond subordinati. Molti fondi hedge long-only ad esempio stanno seguendo con attenzione la partita e potrebbero essere interessati a un posto in consiglio di amministrazione. La richiesta al Tesoro potrebbe essere insomma quella di garantire una rappresentanza sostanziale alle minoranze, magari consentendo non solo alla seconda, ma anche alla terza lista di accedere al board (che si prevede di 12-13 posti). L’esito di queste dialettiche è ancora tutto da definire. Così come resta da capire chi tra le centinaia di investitori della banca riuscirà a entrare nel nuovo consiglio. Generali (che dopo la conversione ha in mano il 4,3%) appare favorita, anche se la compagnia guidata da Philippe Donnet dovrà fare i conti con una nutrita pattuglia di fondi determinati a correre per un posto nel board, magari sotto l’egida di Assogestioni. Per evitare uno scontro all’ultimo voto Trieste potrebbe farsi promotrice di un rassemblement allargato, anche se al momento la situazione rimane fluida.

LO SCENARIO

Più vicina è la scadenza della quotazione, che potrebbe aver luogo lunedì 23 ottobre. La scorsa settimana il corporso documento di registrazione è stato inviato a Consob che avrà un paio di settimane per esprimersi. Come il Tesoro, anche la commissione guidata da Giuseppe Vegas vuole andarci con i piedi di piombo e non si esclude che possa chiedere alla banca un supplemento di documenti.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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