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I nove lunghi anni segnati dallo scellerato potere di Jacob Zuma hanno gravemente ferito il prospero e democratico Sudafrica del “dopo-apartheid”. Amaramente stravolta la parabola virtuosa iniziata con la vittoria sul regime razzista del “padre della patria” Nelson Mandela, instancabile predicatore di uguaglianza e di pace, e proseguita con la sua presidenza, modello di equilibrio. Rabbia e delusione, molto più che sorriso, sul volto della gente, defraudata della speranza in un futuro radioso.

Pesantemente colpita la progredita economia del gigante dell’Africa australe, incredibilmente ricco di risorse naturali, “il Paese dell’oro e dei diamanti”: crescita rallentata fino alla recessione; crollo degli investimenti delle multinazionali straniere; drammatica impennata della disoccupazione; arretramento netto nel “rating” internazionale; il rand – la moneta nazionale – precipitato ai minimi storici, in picchiata nel cambio col dollaro.

Jacob Zuma, 75enne: “il bufalo” per i suoi traditi connazionali, l’uomo che ha sepolto la primavera sbocciata con Mandela, di cui era stato alleato. Corrotto e spregiudicato, quasi ottocento volte incriminato e mai condannato, persino un’accusa di stupro nei confronti della figlia sieropositiva di un vecchio amico, da sempre sospettato di traffico d’ armi, sfacciato ostentatore di ricchezza alla faccia della miriade di neri poveri che annaspano tristemente (tuttora il 40 per cento della popolazione), senza ritegno nello stornare tredici milioni e mezzo di euro di fondi pubblici per ristrutturare il suo pacchiano villone da despota dorato. E imperdonabile dilapidatore del patrimonio politico e culturale dell’ANC, l'”African National Congress”, che ha controllato fino ad alcuni mesi fa grazie a un pattuglia di fedelissimi proni al suo volere – debitori a vita dei suoi favori – e che ha invano tentato di consegnare nelle mani della più discussa e intrigante delle sue tre mogli per tagliare la strada a Cyril Ramaphosa, suo vice e ormai suo grande accusatore, sperando così di garantirsi una spericolata immunità.

Non ce l’ ha fatta, l’ imperterrito Zuma, tra il sollievo dei sudafricani e la soddisfazione di decine di cancellerie estere, in ansia per l’allarmante declino di un paese tanto strategico. Fino all’ultimo ha resistito e recitato la commedia della vittima. Ma l’onesto Ramaphosa, nel frattempo incoronato suo successore alla guida dello smarrito ANC, non ha mollato, consapevole che – senza una svolta drastica – il partito fondato da Mandela sarebbe andato incontro allo sfacelo nelle decisive elezioni del prossimo anno.

Cyril Ramaphosa, 65 anni: un ruolo importante nello storico abbattimento del muro dell'”apartheid”, avvocato e sindacalista, più tardi anche avveduto imprenditore, neo-presidente della repubblica, una saggezza proverbiale, ha un compito immane davanti a sé: ricostruire il deperito e sfiduciato Sudafrica e riabilitare la sua immagine agli occhi del mondo. Non sarà facile, ma nemmeno impossibile per lui, riaccendere la primavera oscurata e ripristinare il sogno di una democrazia più giusta. Le doti ce l’ha, l’intuizione non gli manca. E le sue prime parole dopo l’investitura sono emblematiche: “La mia sarà una leadership etica, che seguirà l’ esempio di Mandela. Abbiamo di fronte una nuova alba, cominceremo con la lotta alla corruzione, da lì invertiremo la rotta”.

I peccati di Zuma e le virtù di Ramaphosa. Il distruttore e il ricostruttore

Di Giovanni Masotti

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