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Dopo la consueta manifestazione settembrina di Atreju, la kermesse di Fratelli d’Italia andata in scena anche quest’anno alle Officine Farneto a Roma, il cammino del centrodestra in vista delle elezioni prosegue tra luci e ombre. Le luci riguardano innanzitutto l’essere tornati competitivi, forse più per demeriti altrui (Pd e 5 Stelle) che per meriti propri. Quando si sente odore di vittoria, si sa, tutto diventa più facile. Anche mettere insieme forze politiche che in altre occasioni resterebbero divise. Intendiamoci, un comun denominatore tra i partiti di centrodestra c’è, da anni, su molto temi la pensano allo stesso modo.

Lo si è visto nella sfilata di big di partito che si sono susseguiti nel pomeriggio di venerdì alle Officine Farneto: Fitto, Santanché, Parisi, Quagliariello, Toti, ecc. E lo si è visto che con la facilità con cui in Sicilia ci si è ritrovati insieme sulla candidatura di Nello Musumeci, anch’egli presente ad Atreju. Che, sconfitto da Rosario Crocetta 5 anni fa, ha deciso di riprovarci. Insomma, l’odore di vittoria obbliga i partiti del centrodestra a stare insieme. Forza Italia, Lega, Fdi, ma non solo. Anche una quarta lista, cui si sta lavorando, di cui dovrebbero far parte i movimenti di Fitto, Quagliariello, Parisi e Costa. I sondaggi danno tutta questa compagine oltre il 30 per cento, quindi perché non provarci?

Poi ci sono le ombre. Le questioni che dividono. A partire dalla legge elettorale. Da Atreju Giorgia Meloni (nella foto) ha rilanciato forte e chiaro il suo no al Rosatellum. “Perché manca un premio di maggioranza che porti a un governo chiaro, mentre si lascia inalterata la strada verso gli inciuci, e perché sono contraria ai capilista bloccati”, dice Giorgia, che vuole tornare alle preferenze. Su questo, però, Berlusconi e Salvini la pensano diversamente: Fi e Lega si sono schierate entrambe per l’accordo col Pd per il sistema di voto.

L’altro grande problema è la leadership: chi farà il candidato premier del centrodestra? Berlusconi non si può candidare, ma non vuole che sia Salvini, il quale invece reclama a gran voce la leadership forte dei voti leghisti (13%, al pari di Forza Italia). “Io sono in campo per la premiership, qualsiasi sarà il sistema di competizione”, ha detto Meloni nella sua relazione conclusiva. Già, ma come? Le primarie di coalizione, su cui tanto ha spinto Fdi e pure Raffaele Fitto, a meno di miracoli, sembrano definitivamente tramontate. Il Cav non ne vuole nemmeno sentir parlare e anche Salvini sembra essersi stufato di chiederle. Nel frattempo pure l’ipotesi Tajani, mai realmente in campo, sembra tramontata (Fdi e Lega non lo vogliono). Resta, dunque, il mistero su come il centrodestra deciderà il suo candidato premier. E questo, al momento, è lo scoglio più arduo da superare in vista delle urne. “Se il Pd ci fosse stato, si sarebbe potuto regolare le primarie per legge, magari attraverso la legge elettorale di cui si sta parlando in queste ore. Ma sembra che anche Matteo Renzi, che dalle primarie viene, se ne sia disamorato…”, fa notare Fabio Rampelli.

A proposito di Rampelli, sembra che il deputato romano sia uno dei nomi in pole position per la candidatura alle Regionali del Lazio del prossimo anno (si voterà quasi in contemporanea con le Politiche). Il candidato in pectore di qualche mese fa, Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, sembra che abbia subìto un veto da parte di Forza Italia (“è troppo populista”). Ragion per cui per il Lazio ora sono in ballo il rieletto sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani (col 56% al primo turno), l’ex senatore e attuale presidente della Federazione italiana nuoto Paolo Barelli, la candidata per ogni occasione Luisa Todini. Tutti nomi targati Berlusconi più, appunto, Rampelli. Il derby sarà tutto tra Fi e Fdi, e la scelta dovrà essere di peso, visto che dall’altra parte ci sono due big come Nicola Zingaretti (Pd) e Roberta Lombardi (M5S). E sempre a proposito di Rampelli, ad Atreju il deputato avrebbe gradito confrontarsi con Marco Minniti, guest star del sabato, ma il ministro dell’Interno ha chiesto espressamente di interloquire solo con giornalisti (Mario Giordano e Gian Micalessin). “Peccato, perché sarebbe stato un bel confronto. Su alcuni temi, come l’accoglienza agli immigrati, il ministro ha dato risposte evasive”, sottolinea il deputato.

Dalle Officine Farneto esce comunque un partito di Meloni e La Russa in buona salute, con i sondaggi che lo indicano intorno al 5%, anche se sui temi ci si sarebbe potuti aspettare qualcosa di più da una forza che si appresta a governare il Paese. Insomma, non possono essere solo ius soli, legge Fiano e le critiche a Laura Boldrini a scaldare gli elettori di destra, come invece è accaduto ad Atreju. Ed è proprio su temi e parole d’ordine che, da qui al voto, Meloni dovrà essere capace di distinguersi, evitando di schiacciarsi su Salvini, con cui peraltro l’idillio sembra essersi rotto da tempo (l’ovazione tributato dalla platea al leader leghista non è stata gradita ai vertici). Bene ha fatto, dunque, ad attaccare la Lega sul referendum autonomista di Lombardia e Veneto. Più la leader di Fdi proporrà argomenti e ricette proprie, tanti più voti potrà ambire di ottenere alle urne. Voti utili anche per arginare il fronte filo leghista ben presente nel partito azzurro e che ha in Toti e Paolo Romani (ospiti alle Officine) le due figure di maggior spicco.

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