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Di fronte alla possibilità di un attacco su larga scala, l’Europa si scopre impreparata, dunque vulnerabile. A lanciare l’allarme è Apostolos Tzitzikostas, commissario europeo ai Trasporti, che punta a investire 17 miliardi di euro per adeguare la rete infrastrutturale del continente alle esigenze di difesa collettiva.

“Abbiamo ponti vecchi da rinforzare, ponti stretti da allargare e ponti inesistenti da costruire”, ha dichiarato al Financial Times il commissario greco. L’obiettivo è garantire che le forze europee possano muoversi “in ore, non in settimane o mesi”, colmando il divario che oggi rende impossibile un trasferimento rapido di equipaggiamenti e personale dal lato occidentale a quello orientale dell’Unione. Strade troppo strette, ponti obsoleti, ferrovie incapaci di sopportare il peso dei carri armati: se la Nato fosse costretta a spostare rapidamente truppe e mezzi verso il fianco orientale in caso di aggressione russa, i convogli rischierebbero di bloccarsi in gallerie, far crollare infrastrutture logorate e rimanere impigliati tra i protocolli di frontiera.

Il ruolo delle infrastrutture

Dietro la spinta di Bruxelles c’è una consapevolezza crescente: gran parte delle infrastrutture civili europee non è stata progettata per sopportare pesi e flussi militari. Un camion standard pesa circa 40 tonnellate, un carro armato arriva a 70. Per questo la Commissione europea sta lavorando, in sinergia con la Nato e i suoi comandanti militari, a un piano che prevede 500 progetti infrastrutturali distribuiti lungo quattro corridoi strategici, con l’obiettivo di rendere l’Europa capace di rispondere a un attacco in “poche ore o giorni”. I dettagli restano riservati per ragioni di sicurezza. L’obiettivo è chiaro: permettere a truppe e mezzi di muoversi “in poche ore, non in settimane”, eliminando il rischio di carri armati “bloccati tra le scartoffie” alle frontiere europee. Così. snellire le procedure doganali interne diventa cruciale, insieme al rafforzamento di ponti, gallerie e linee ferroviarie. In questo scenario, la progettazione del ponte sullo Stretto di Messina rappresenta la realizzazione di un’infrastruttura strategica per la logistica civile e militare e per la sicurezza dei confini italiani ed europei

Il piano sulla mobilità militare, che sarà ufficialmente presentato entro la fine dell’anno, rappresenta una svolta per la difesa europea: la capacità di proteggersi dipenderà sempre più dalla velocità delle infrastrutture e dalla solidità delle reti di resilienza nazionali.

La riorganizzazione strategica di Roma

In questo contesto, la protezione delle infrastrutture critiche diventa un pilastro della sicurezza nazionale. L’Italia ha compiuto un passo strategico conferendo al sottosegretario Alfredo Mantovano la delega per la resilienza dei soggetti critici, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Roma centralizza così la gestione delle vulnerabilità nazionali in un unico perno politico e istituzionale, rafforzando la capacità di anticipare, gestire e mitigare crisi che possano colpire servizi essenziali come energia, sanità, trasporti, telecomunicazioni e finanza. La mossa non solo risponde alle richieste della direttiva europea 2022/2557 sull’individuazione e la protezione dei fornitori di servizi essenziali per garantirne la continuità anche di fronte ad attacchi ibridi o cyber, ma rappresenta l’applicazione delle direttive di civil resilience della Nato e la profonda presa di coscienza delle criticità infrastrutturali e tattiche che accomunano gli Stati europei.

Resilienza e deterrenza

Il principio di resilienza, radicato nell’Articolo 3 del Trattato Nord Atlantico, rappresenta una responsabilità nazionale e un impegno collettivo. Le forze Nato dipendono dai settori civili per logistica, energia, comunicazioni e approvvigionamenti: senza infrastrutture pronte a resistere a shock e interruzioni, la deterrenza perde efficacia. La preparazione civile si fonda su tre pilastri: continuità del governo, continuità dei servizi essenziali e supporto alle operazioni militari. Per questo la protezione di reti fisiche e digitali – dalle centrali elettriche alle dorsali informatiche, dalle infrastrutture spaziali ai cavi sottomarini – è oggi terreno di competizione geopolitica: incidenti o sabotaggi possono compromettere la sicurezza nazionale tanto quanto un attacco convenzionale. In questo quadro, l’integrazione tra Difesa, ministeri economici e operatori privati diventa il vero scudo contro la coercizione economica e gli shock ibridi e strategici.

Il confine tra civile e militare è ormai sfumato, così come quello tra privato e pubblico. La sfida per Bruxelles e per le capitali europee è trasformare questa consapevolezza in azione. Solo una catena di comando chiara e un ecosistema informato, coordinato e integrato possono trasformare la resilienza in una deterrenza credibile. L’Europa di oggi si difende con carri armati, armi, munizioni, ma anche con ponti rinforzati, server protetti e reti energetiche sicure e cittadini informati.

Lungo le infrastrutture scorre la resilienza (militare) europea

L’Europa accelera sulla difesa collettiva tra piani di riarmo e infrastrutture da adattare a scenari di crisi. Bruxelles lancia 17 miliardi per la mobilità militare e la resilienza nazionale diventa centrale: strade, ponti, ferrovie e reti digitali sono la nuova frontiera della deterrenza. Roma, con la regia di Mantovano, punta a fare dell’Italia un hub euro mediterraneo di sicurezza e stabilità

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