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Il panorama politico giapponese esce profondamente trasformato dopo le elezioni di domenica, segnato da una svolta storica: per la prima volta in quasi settant’anni, la coalizione di governo composta dal Partito Liberal Democratico (Ldp) e dal partner centrista Komeito non dispone più della maggioranza né alla Camera alta né a quella bassa del Parlamento.

La competizione elettorale, segnata da un forte malcontento popolare legato al caro vita, all’aumento dell’immigrazione e alla stagnazione salariale, ha rappresentato un duro colpo per il primo ministro Shigeru Ishiba, la cui leadership è ora seriamente in discussione.

I risultati hanno premiato in particolare due forze eterodosse: il Partito Democratico per il Popolo, che ha più che raddoppiato la propria presenza nella Camera alta, e Sanseito, formazione populista e nazionalista, passata da due a quindici seggi. Entrambe le sigle hanno saputo intercettare il malcontento diffuso tra le fasce più giovani e precarie della popolazione, puntando su parole d’ordine come taglio delle tasse e protezionismo economico.

Secondo Eleonora Zocca, giornalista e curatrice della newsletter “Japanica”, queste elezioni confermano una tendenza che già si era intravista a ottobre, nelle scorse elezioni, per la Camera bassa: “La politica giapponese, per come l’abbiamo conosciuta dal dopoguerra in poi, si trova a un momento di svolta”.

“Il Partito Liberal Democratico — continua — non gode più di quello strapotere politico che gli ha permesso di governare senza quasi alcuna interruzione dal 1955 in poi, e che, nella classificazione elaborata dal politologo Giovanni Sartori, ha fatto rientrare il Giappone tra i Paesi ‘a partito predominante’”.

Ora i dati raccontano che questo sistema sta volgendo verso la fine. “L’ascesa poi di un partito populista e di ispirazione trumpiana come il Sanseito fa emergere anche un altro elemento: neanche Tokyo è immune alla retorica xenofoba che fino a questo momento sembrava non aver attecchito tra i cittadini e le cittadine giapponesi”.

Nonostante le perdite di appeal elettorale, il Ldp rimane comunque il partito con il maggior numero di seggi in Parlamento e Ishiba ha annunciato l’intenzione di proseguire il governo attraverso alleanze parlamentari nella Camera bassa. “È una fase difficile, accetto il risultato con umiltà”, ha dichiarato in un’intervista televisiva, a caldo dopo il voto.

La crisi di consenso per Ishiba era iniziata già lo scorso ottobre, con lo scioglimento anticipato della Camera bassa che ha portato a una prima battuta d’arresto. Ora, la perdita di controllo anche sulla Camera alta complica ulteriormente la sua posizione, proprio mentre si avvicina una cruciale trattativa commerciale con Washington, che minaccia dazi del 25% sulle esportazioni giapponesi a partire dal 1° agosto.

L’inviato speciale per i negoziati, Ryosei Akazawa, è atteso a Washington nei prossimi giorni. Ma i margini di manovra si sono ridotti drasticamente per l’esecutivo, che appare sempre più sotto pressione sia all’interno del partito che nel confronto con le nuove forze emergenti.

Tutto mentre negli ambienti economici si registra una crescente disillusione rispetto alla traiettoria seguita negli anni precedenti: la stagione dell’Abenomics — basata su stimoli monetari, riforme strutturali e spesa pubblica — appare esaurita, senza aver risolto parte delle fragilità profonde del sistema economico giapponese.

Le borse di Tokyo sono rimaste chiuse oggi, ma i mercati finanziari internazionali hanno subito reagito: lo yen ha perso terreno sul dollaro, segnale di un aumento dell’incertezza politica e della volatilità in vista delle prossime settimane, all’interno del Paese simbolo del cosiddetto “Occidente politico” in Asia (e nell’Indo-Pacifico).

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