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L’ultima volta, a marzo 2019, Xi Jinping era venuto anche in Italia, a firmare in pompa magna il memorandum di adesione sulla Belt & Road Initiative (Bri): poi il leader cinese è mancato dall’Europa per cinque anni, anche a causa delle restrizioni che si era auto-imposto durante la pandemia. Adesso torna in Francia — per festeggiare i 60 anni di relazioni bilaterali — poi Serbia e Ungheria, ma trova un contesto diverso.

Se cinque anni fa celebrava l’ingresso di un Paese del G7 nella sua infrastruttura geopolitica globale, ora si trova davanti un discorso pubblico e politico che guarda alla Cina con sfiducia. L’Italia fuori dalla Bri è parte del grande schema del de-risking, resosi necessario già in precedenza, ma urgente dopo l’invasione su larga scala russa dell’Ucraina, che ha mostrato agli europei quanto possano essere complicate dipendenze eccessive (nel caso di carattere energetico).

“La guerra in Ucraina ha sia migliorato che danneggiato l’unità dell’Ue nei confronti della Cina”, spiega Philippe Le Corre, senior fellow della École Supérieure des Sciences Economiques et Commerciales, business school con sedi a Parigi, Bruxelles e Singapore. “Da un lato, l’Ue si è unita sulle misure economiche difensive e sugli strumenti anti coercizione davanti a Pechino; dall’altro, ha messo in luce la contrapposizione tra gli interessi tedeschi (di carattere interno) e il resto d’Europa”.

“No de-coupling” è stato il mantra del cancelliere tedesco Olaf Scholz quando nei giorni scorsi è stato a Pechino, dimostrando che il concetto di de-risking parte con un perimetro limitato, sebbene sia chiaro che un disaccoppiamento immediato e totale dalla Cina sia pressoché impossibile — se non con forti conseguenze per l’Europa. Scholz è stato invitato da Emmanuel Macron a partecipare all’incontro con Xi — il tedesco era a Parigi per una vacanza personale, e ha cenato riservatamente con la moglie e i Macrons. La cancelleria ha spiegato che sarebbe sconveniente un nuovo incontro con il cinese a pochi giorni dalla visita a Pechino, ma forse Scholz vuole evitare di presenziare a una riunione in cui potrebbero anche essere esposti argomenti di attrito.

Differentemente, Macron intendeva riproporre quanto fatto nella tappa francese dell’ultimo viaggio di Xi in Europa, quando a Parigi ospitò una riunione del cinese insieme Angela Merkel e Jean-Claude Juncker, i predecessori di Scholz e Ursula von der Leyen — che ha invitato al tavolo con Xi, e lei ci sarà. Cinque anni dopo, quello che era il “fronte unito” dell’Europa sulla Cina — e che serviva anche a dimostrare che la linea non era quella italiana, con l’adesione alla Bri — non include più la Germania?

Negli ultimi anni, la politica europea nei confronti della Cina si è allontanata da approcci guidati dalla paura. L’Ue ha etichettato la Cina come “rivale sistemico”, ha sostenuto la Lituania di fronte alla coercizione economica di Pechino e ha mostrato la volontà di accettare la tensione multi-dimensionale con la Repubblica popolare attraverso varie misure di sicurezza economica. Nonostante questo, leader come Scholz mostrano ancora timore nel loro approccio, minimizzando le minacce derivanti dai prodotti cinesi sovvenzionati dallo Stato e evitando argomenti sensibili come Taiwan, i diritti umani, o il sostegno cinese alla Russia.

La riluttanza di Scholz a sfidare la Cina riflette il timore di ritorsioni contro le imprese tedesche, ma non rischia anche di raccontare un’Unione europea più frammentata, con interessi diversi? Macron vuole cercare di essere il punto di bilanciamento? “Gli europei dell’Est, in particolare, sono ben più transatlantici di cinque anni fa, ma anche lì si vedono Paesi come Ungheria, Slovacchia o la Serbia che si avvicinano a Russia e Cina. La Francia invece si trova nel mezzo, ed è per questo che la visita di Xi è interessante: ma dobbiamo mantenere basse le nostre aspettative!”, risponde Le Corre.

Con ogni probabilità, come anticipa Le Corre, da Parigi non usciranno risultati enormi (e probabilmente non è nemmeno la sede), anche se Macron potrebbe sollevare punti dal valore politico. Per esempio, secondo fonti francesi il capo dell’Eliseo esporrà la necessità che la Cina blocchi le relazioni con la Russia per quanto riguarda la tecnologia dual-use (e forse non solo dual-use) che una volta fornita a Mosca alimenta la furia militare di Vladimir Putin. Questo è il tema trattato anche dal segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, nella sua recente visita a Pechino. È uno degli argomenti più delicati e imbarazzanti della relazione occidentale con la Cina in questo momento, che dà una risposta alla domanda “Cooperation or confrontation?” e su cui Macron — che si è auto-assegnato il ruolo di faro del sostengo europeo all’Ucraina — non può passarci sopra.

Ma le tematiche al centro dell’incontro francese di Xi saranno soprattutto commerciali. La Cina deve lanciare la ripresa economica bloccata dalle misure draconiane di Xi per chiudere il Paese durante la Covid. Per farlo, il Partito/Stato ambiva a un rilancio dei consumi interni, ma la fiducia dei consumatori è ancora bassa. Dunque serve spingere le esportazioni — che bilancerà anche il calo della fiducia tra gli investirli stranieri (conseguenza di un de-risking che di fatto è già in corso e innescato nel mondo del business da iniziative come lo “Zero Covid” o le nuove, restrittive regole sulla sicurezza nazionale).

E mentre Pechino spinge l’export, l’Europa ha avviato le contromosse, con i controlli sulla concorrenza sleale che toccano l’EV e il biomedico cinese, ma anche le misure in arrivo contro le fabbriche inquinanti e quelle pensate contro il lavoro forzato (intralciate da una linea più politica tedesca e una incomprensibile italiana).

In generale, se è vero che la diplomazia cinese è eccezionalmente accorta nel manifestare interessi e simbologie in forma indiretta, allora è l’agenda stessa della visita a spiegare il senso del viaggio e delle relazioni Europa-Cina. L’incontro a Parigi, con Macron che i cinesi considerano il leader europeo più pragmatico, e con von der Leyen (non amata a Pechino), non arriva solo dopo la visita del più morbido Scholz, ma anche insieme a quella ungherese e serba. A Belgrado, Xi potrà usare l’anniversario del bombardamento in cui morirono tre funzionari dell’ambasciata cinese durante la guerra nel 1999 per dire che certe scelte militariste dell’Occidente (in quel caso via Nato) non sono sempre efficaci — accedendo a una narrazione nota, che piace a molti nell’ambito Global South. A Budapest, potrà confrontarsi con Viktor Orbán, leader europeo anti-europeista, tra i grandi problemi dell’Unione (a cui aggiungere lo spazio concesso a Byd, leader globale cinese dell’auto-elettrica).

Xi torna e trova un’Europa diversa. Ecco perché, secondo Le Corre

Mentre parte dell’Europa si avvicina all’occidente e parte a Cina e Russia, “la Francia invece si trova nel mezzo, ed è per questo che la visita di Xi è interessante: ma dobbiamo mantenere basse le nostre aspettative!”, spiega Le Corre (Essec). Sul tavolo di Parigi temi politici e commercio, ma il leader cinese cerca anche sponda tra i Paesi più malleabili, come Ungheria e Serbia. Ecco come sono cambiate le relazioni Europa-Cina dall’ultimo viaggio di Xi Jinping

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