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Undicimila dipendenti che, con la loro cerchia di conoscenti, sono stati sempre in grado di condizionare le elezioni della Capitale. Ed ora è la stessa Filt-CGIL, per bocca del suo segretario provinciale Eugenio Stanziale, che ricorda, minaccioso, che vi sono cambiali da pagare. “I 5 Stelle – ha detto senza giri di parole – hanno vinto queste elezioni coinvolgendo anche i lavoratori di Atac”. Quindi attenti a non sbagliare.

Il timore maggiore è dato proprio dal ventilato concordato preventivo in continuità. Quell’ipotesi che è costata definitivamente il posto ad Andrea Mazzillo, brutalmente sostituito dall’uomo venuto da Livorno. Sempre che il progetto sia fattibile, non è facile immaginare un’azienda cresciuta a pane e consociativismo affidata alle cure della magistratura, che dovrà garantire l’eventuale accordo con i creditori una volta ch’esso sia intervenuto. Ed è già questa una prima incognita che pesa come un macigno. Con 1,3 miliardi di debito, la platea dei creditori è una folla da stadio. Dentro vi sono banche, fornitori, enti e società comunque entrati in contatto con l’azienda romana. Tra cui lo stesso Comune di Roma che ha iscritto a bilancio un credito di 429 milioni.

Il concordato, se concluso, comporterà un hair cut, come dicono gli inglesi. E a quel doloroso taglio dei capelli, con relativa rinuncia di una parte del proprio avere, si dovrà accompagnare una lunga dilazione del relativo pagamento. Con quali garanzie? Questo è il punto dirimente. Esse potranno essere fornite solo da un piano industriale rigoroso, che metta fine all’accumularsi delle perdite d’esercizio per arrivare, quanto meno, ad una posizione di pareggio. E quindi di utile, per pagare i debiti pregressi, salvo eventuali dismissione.

Se questo non solo non avverrà, ma il relativo piano non risulterà essere convincente, non vi sarà scampo. I creditori non firmeranno o se lo faranno pretenderanno per le prossime forniture il pagamento in contanti. Insomma, comunque la si metta, una vecchia pacchia, come è avvenuto tempo fa per Ferrovie dello Stato e più recentemente per Alitalia, sta finendo. L’azienda non può più sfuggire all’esigenza di una sua profonda riconversione, che faccia leva su riduzione dei costi ed aumento di produttività. Prima se ne avrà contezza e minori saranno i costi che alla fine si scaricheranno sulla collettività.

Tra questi vi sono già i 429 milioni che il Comune di Roma ha iscritto a bilancio, ma che mai vedrà. Non li vedrà perché, per consentire l’alleggerimento del carico bancario, ha accettato che gli stessi fossero considerati come semplici crediti chirografari. Che nella logica del concordato sono più o meno carta straccia. Pagabili dal Commissario solo dopo aver soddisfatto tutte le altre esigenze. Quindi questo credito che, per essere iscritto a bilancio avrebbe dovuto essere “certo ed esigibile”, semplicemente non esiste. Non vi sarebbero state conseguenze se questa eventualità fosse stata prevista e contabilizzata nel Fondo svalutazione crediti. Ma questo non è avvenuto. E quindi la registrazione di un nuovo “buco”.

Nuovo perché il bilancio consolidato che dovrebbe essere redatto entro la fine di settembre, a quanto se ne sa, sembra essere un piccolo colabrodo. I rapporti tra l’Amministrazione comunale e le altre municipalizzate dovrebbero far emergere uno squilibrio di 200 milioni. Poi vi sono i vari contenziosi. Quello più importante è con il MEF, per l’ingiustificata corresponsione del salario accessorio ai dipendenti del Comune, stante lo stato di relativi dissesto. Quindi il problema delle due torri all’Eur. E via dicendo.

È il preludio del commissariamento, come paventato da Mazzillo? Difficile rispondere. Le procedure per il concordato Atac richiedono tempi più lunghi, rispetto alla fine di settembre. Finché l’eventuale accordo non sarà formalizzato, debiti e crediti sono congelati. Sempre che l’azienda abbia la liquidità necessaria per sopravvivere, a partire dal pagamento degli stipendi. Ma se fossimo in Lammetti non dormiremmo sonni tranquilli. Roma non è Livorno. È una brutta gatta da pelare. Richiede uno stretto rapporto di collaborazione con le altre Istituzioni del Paese. A partire dal governo nazionale. Il neo assessore al bilancio ha dismesso le orrende t-shirt che indossava. Ma non gli basterà comprare nuovi e più dignitosi capi d’abbigliamento per venirne a capo.

atac, virginia raggi

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