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Nell’accordo preliminare tra i socialdemocratici di Martin Shulz e le forze di centro di Angela Merkel per trovare la quadra dopo mesi di incertezza in Germania, c’è anche l’intesa per bloccare l’export di armi verso i Paesi coinvolti nella guerra in Yemen.

Nel documento programmatico che dovrebbe permettere la formazione di una Grosse Koalition 2.0, infatti, si prevede l’interruzione “immediata” delle esportazioni militari diretti agli Stati che partecipano al conflitto, misura che dovrebbe colpire soprattutto le vendite ad Arabia Saudita e Iran. “Il governo – ha spiegato via Twitter il portavoce Steffen Seibert – non sta prendendo alcuna decisione in tema di export di armi che non sia in linea con i risultati dei dialoghi preliminari” con il partito socialdemocratico. Ciò a sottolineare che la decisione è frutto di una scelta condivisa e concordata con i futuri alleati dell’Spd, che proprio ieri hanno approvato l’ipotesi di una nuova coalizione con i centristi di Cdu e Csu.

La notizia dello stop sembra rilevante per due ragioni. Primo, perché escluderà la Germania da un mercato della difesa in forte crescita lasciando spazio a competitor pronti a farsi meno scrupoli. Secondo, perché potrebbe tornare ad alimentare (come in parte ha già fatto) le recenti polemiche che in Italia hanno riguardato l’uso nel conflitto in Yemen di bombe realizzate in Sardegna e vendute all’Arabia Saudita. Su entrambi i fronti, come ha evidenziato di recente Michele Nones, consigliere scientifico dello Iai, su AffarInternazionali, c’è una difficoltà di partenza che spesso non viene considerata. Rispetto al passato, infatti, oggi è estremamente difficile capire chi sia coinvolto o meno in una guerra moderna, di cui il conflitto in Yemen è un classico esempio tra asimmetria, strumenti di “guerra-spettacolo” (droni su tutti), proxy e combattenti senza chiara divisa. Proprio per questo, ha spiegato il professor Nones, risulta “fuorviante sostenere che l’Arabia Saudita andrebbe considerata come coinvolta in un conflitto armato perché interviene insieme ad altri Paesi a sostegno del governo dello Yemen, mentre non dovevano esserlo considerati Francia e Regno Unito che bombardarono unilateralmente la Libia e tutti quelli che lo fanno adesso, così come quelli che lo hanno fatto in Siria; per non parlare dei missili e delle bombe americane sganciate da velivoli pilotati e non per contrastare i movimenti terroristici e che inevitabilmente comportano pure vittime civili, anche se gli Stati Uniti non si considerano coinvolti in nessun conflitto armato”.

Nonostante tali difficoltà, è facile immaginare che il blocco tedesco riguarderà soprattutto Arabia Saudita e (seppure con minore impatto) l’Iran. Ciò, tornando al primo aspetto, escluderebbe comunque la Germania da un mercato in rapidissima ascesa per quanto riguarda il settore della difesa. Secondo i dati dell’autorevole Sipri, Riad è il secondo Paese al mondo per import militare e assorbe l’8,2% (periodo 2012-2016) delle importazioni globali nel settore. L’1,9% delle importazioni saudite vengono dalla Germania, che rappresenta il sesto partner militare del Paese dopo Stati Uniti (52%), Regno Unito, Spagna, Francia e Canada, e prima dell’Italia (1,3%).

La crescita del Regno in termini di import è destinata però a non arrestarsi. Basti ricordare la maxi vendita americana da 110 miliardi di dollari siglata lo scorso maggio dal presidente Usa Donald Trump in visita a Riad. Bisogna inoltre ricordare, come spiegato dal professor Nones, che “l’Arabia Saudita non è sottoposta ad alcuna restrizione o embargo da parte dell’Onu e dell’Unione europea ed anzi è un prezioso alleato finanziario e militare in moltissimi missioni internazionali di stabilizzazione di aree di crisi e contrasto al terrorismo”.

Israele,GERMANIA

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