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Gentile direttore,

è ora che anche in Italia – dopo le grandi innovazioni legislative avvenute all’inizio degli anni ’90 e 2000 – la cultura della comunicazione trasparente diventi patrimonio comune per operatori pubblici e privati. Non una ossessione, certo, ma una tendenza efficacemente e pazientemente perseguita.

Sia sul piano professionale che accademico mi scontro quotidianamente con un sistema aberrante – quello purtroppo invalso in spregio alla Costituzione pressoché unanimemente invocata – che prima induce l’opinione pubblica, attraverso i media, a processare sulla base di quadri indiziari traballanti (quando almeno vi sono!) e poi finisce addirittura con l’indignarsi perché teoremi accusatori ultra reclamizzati si scontrano con la prima e più semplice verifica fattuale: in udienza preliminare, alle prime battute di un dibattimento, ecc…

Tuttavia è vero che – come ci insegna l’economia – per definizione le risorse sono scarse. Tale aspetto non riguarda soltanto i depositi aurei presso la Banca d’Italia o la disponibilità di di suolo e acqua ma ovviamente anche il ricorso al tempo e gli organici degli inquirenti che devono scegliere giorno per giorno ove orientare la propria attenzione.

È allora giusto dirsi con franchezza che ci si può continuare a lamentare di un’azione talvolta fortemente penalizzante sul piano operativo, economico e reputazionale da parte del cosiddetto circuito mediatico giudiziario, ma che giunti a questo punto occorrerebbe forse anche investire su una comunicazione trasparente e su procedure interne più chiare e intellegibili come antidoto a iniziative che talvolta prendono avvio proprio in presenza di contesti opachi e confusi. Sa, direttore, quante imprese di rilievo non hanno ancora adottato i modelli organizzativi previsti dal D.lgs 231/2001? Eppure sono trascorsi sedici anni. Sa quante società (anche multinazionali) operanti nel nostro Paese sono totalmente sprovviste di un banale ufficio stampa, senza scomodare consulenti esperti di comunicazione capaci di coniugare attività d’impresa con l’esigenza di fornire risposte a una opinione pubblica che pretende trasparenza anche dai privati? In questo senso la rivoluzione introdotta da leggi quali le 97/2016, 15/2005, 150/2000, 241/1990 ha prodotto effetti che ricadono pesantemente anche sulle imprese.

L’indirizzo dovrebbe insomma essere: rendere facilmente intellegibile il proprio operato costa sacrificio, certamente anche soldi, ma riduce significativamente la probabilità d’inchieste a carico.

Si badi, la trasparenza non può e non deve diventare l’ennesimo moloch in nome del quale calpestare altri diritti e garanzie. Non possiamo, in altre parole, diventare vittime anche dei professionisti della trasparenza. Tuttavia chi conosca l’amministrazione pubblica e il modo di operare di certi privati – anche in buona fede – non può non riconoscere che all’interno di meccanismi interni e procedure esclusivamente e squisitamente burocratiche e talvolta dettate dalla pigrizia più banale vi siano tutti gli ingredienti per ingenerare sospetti e allarmi anche rispetto a operati che sono condotti in buona fede e nell’effettivo rispetto della normativa vigente.

Quante volte il ripetuto apparire di articoli di stampa su organi di informazione, relativi a un presunto pericolo ambientale prodotto da un’azienda, contribuisce in modo determinante all’apertura di un fascicolo da parte della procura? La denuncia, riferita assai probabilmente destituita nei fatti di fondamento, viene lasciata passare, per sciatteria o perché in buona fede si ritiene sia meglio. Così facendo si perde però l’occasione di trasferire a mezzo stampa dati e informazioni preziose che contribuirebbero da subito a sgonfiare il caso mediaticamente, a riequilibrare almeno parzialmente il dibattito pubblico sulla vicenda e aiuterebbero a contenere la riproposizione di altri interventi e articoli nel quale il presunto (e infondato) pericolo o errore sia nuovamente richiamato, finendo col diventare un vero e proprio tormentone che attiri la voglia di apparire di comitati, opinionisti, politici, giornalisti, autorità e incrementi giorno dopo giorno il valore di notizia criminis da approfondire. Si tratta naturalmente soltanto di un esempio, che come tale conosce molteplici eccezioni e possibili adattamenti, ma pur sempre indicativo.

Andrea Camaiora
Esperto in litigation communication
Docente al master Anticorruzione dell’Università di Roma 2 Tor Vergata

Comunicazione trasparente antidoto alle inchieste

Gentile direttore, è ora che anche in Italia - dopo le grandi innovazioni legislative avvenute all'inizio degli anni '90 e 2000 - la cultura della comunicazione trasparente diventi patrimonio comune per operatori pubblici e privati. Non una ossessione, certo, ma una tendenza efficacemente e pazientemente perseguita. Sia sul piano professionale che accademico mi scontro quotidianamente con un sistema aberrante -…

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