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Forti investimenti pubblici nell’industria nazionale e interconnessione istituzionalizzata tra governo, accademia e aziende. È questo, secondo gli esperti, il segreto di Israele nel campo della cyber security. Da diversi anni ormai, il Paese è infatti diventato un punto di riferimento internazionale, come ha spiegato all’agenzia stampa Cyber Affairs il professor Michele Colajanni dell’Università di Modena e Reggio Emilia che, tra i meriti di Cybertech Europe, l’evento interamente dedicato alla sicurezza cibernetica che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma, ha annoverato anche quello di avvicinare il contesto continentale all’esperienza israeliana.

DALLA CONSAPEVOLEZZA ALLE RISORSE

L’impegno di Israele in questo settore nasce dalla “consapevolezza che la sicurezza cibernetica non è una moda, ma un qualcosa che è determinante ora, e che lo sarà per almeno i prossimi dieci anni”, ha detto a Cyber Affairs l’ambasciatore di Israele in Italia Ofer Sachs (in foto con il ministro della Difesa Roberta Pinotti, qui tutte le immagini), intervenuto alla due-giorni. “Le aziende israeliane – ha aggiunto – sono le più attaccate al mondo. Oltre il 99% degli attacchi sono molto semplici, eppure ci concentriamo proprio su quella piccola percentuale che resta”. La sfida che il governo israeliano ha deciso di affrontare è “passare dalla comprensione all’azione investendo risorse”, ha rimarcato il diplomatico. Primi destinatari di queste risorse sono stati il settore privato e le università. “I governi – ha chiarito Sachs – sanno come difendersi, è il lato delle imprese a rappresentare il problema principale”. E in questo senso, quantomeno dal lato della tecnologia di difesa per il settore privato, Tel Aviv “è totalmente favorevole alla cooperazione e a un approccio collaborativo, in particolare con gli alleati occidentali”, ha proseguito. D’altronde, il dominio cibernetico sembra apparire sempre più determinante per i rapporti internazionali: “Il mondo sta già cambiando, e dietro l’angolo potrebbe esserci un 11 settembre cibernetico che deve essere considerato come una possibilità reale”.

L’EXPORT E LE COMPETENZE

Secondo le ultime stime ufficiali, “sono oltre 350 le aziende israeliane dedicate alla sicurezza informatica, molte delle quali start up”, ha ricordato Achiad Alter, ‎manager del settore cyber security dell’Israel Export Institute. “Nel 2016, l’export del comparto israeliano ammontava a 3,7 miliardi di dollari”, ha aggiunto. La ragione di tale impegno? “Siamo un Paese circondato da nemici – ha detto Alter –, per questo la nostra competenza viene da un’esperienza diretta”. La leva obbligatoria nelle Forze armate e nei servizi di intelligence insegna ai giovani che poi resteranno nel settore “a pensare come un hacker, a trovare nuove soluzioni”. A tutto questo, ha aggiunto Alter, si aggiungono “i forti investimenti governativi e la connessione costante del governo con le aziende”.

L’ECOSISTEMA DI BE’ER SHEVA

Esempio più evidente di questa connessione è il CyberSpark industry initiative, “un unico ecosistema localizzato a Be’er Sheva (ndr, il centro principale del deserto del Negev, a sud del Paese) in cui Forze armate, industria e accademia lavorano fianco a fianco. Al livello superiore opera il governo con importanti investimenti”, ha illustrato Alter. I risultati del progetto, lanciato dal primo ministro Benjamin Netanyahu nel 2014, ne fanno non solo “il cardine della cyber security a livello nazionale, ma anche un possibile punto di riferimento del settore a livello globale”, ha scritto sull’ultimo numero di Airpress Stefano Mele, presidente della Commissione cyber security del Comitato atlantico italiano. “Di recente – prosegue Mele – si è appreso che il Mossad starebbe ultimando il progetto di costituire un fondo di investimento destinato al finanziamento di nuove start up israeliane. L’idea, che nonostante i pochissimi dettagli disponibili sembra ricalcare quella messa in atto dalla Cia – ormai 18 anni fa – con il fondo In-Q-Tel, ha come naturale obiettivo quello di dare accesso diretto ed esclusivo a questa agenzia di intelligence alle più avanzate e utili innovazioni nel campo delle nuove tecnologie, garantendole la possibilità di scegliere di finanziare le idee più interessanti rispetto alle finalità da raggiungere”.

ISRAELE A CYBERTECH EUROPE

Nella “Nuvola di Fuksas” a Roma, Israele ha partecipato “con una presenza non enorme ma significativa”, ha affermato l’ambasciatore Sachs. Accanto al colosso nazionale IAI (Israel aerospace industries, “la Leonardo di Israele” come l’ha definita Sachs) erano 13 le start up israeliane presenti a Cybertech Europe. Tra di esse, SecBI, azienda fondata nel 2014 proprio a Be’er Sheva che offre un sistema di rilevamento delle minacce “automatizzato, basato su artificial intelligence e su tecnologia di machine learning”, ha spiegato uno dei fondatori Doron Davidson. C’era Votiro Secured, specializzata nella scansione, analisi, e “disinfestazione” di ogni tipo di file che possa arrivare a un utente attraverso il phishing (mail truffa costruite ad hoc per ingannare il soggetto ricevente), uno dei metodi maggiormente utilizzate dai cyber criminali. C’era anche Cybint, start up focalizzata sull’educazione al cyber, altro settore su cui il governo di Tel Aviv sta investendo molto.

Tutti i progetti di Israele sulla cyber security

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