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Il partito italiano antiestablishment sceglie un candidato moderato per la premiership“. Parola del Wall Street Journal che ha così commentato il week end romagnolo di Luigi Di Maio, ormai capo politico e candidato premier dei pentastellati. E lo stesso ha fatto pure Politico.eu con un titolo eloquente: “I Cinquestelle si affidano a un leader moderato“. In effetti Di Maio, l’uomo scelto da Beppe Grillo e Davide Casaleggio per guidare il M5s, è intento a smorzare le posizioni più radicali assunte e ribadite in questi anni da alcuni suoi colleghi di partito e da lui stesso.

IL M5S E LA NATO

Lo diremo a Donald Trump. Non siamo disponibili a rifinanziare il programma militare con altri 14 miliardi di euro“. Questa frase sulla Nato – pronunciata ieri da Di Maio e riportata oggi da La Stampa (qui l’approfondimento del quotidiano torinese) – sembrerebbe aver ben poco di moderato alla luce della tradizione atlantica dell’Italia. Ma in fondo non è così, considerato che in passato il M5s aveva chiesto a più riprese di uscirne direttamente. Uno scenario non a caso smentito dal capo politico dei pentastellati: “Questo non significa che il Movimento voglia portare l’Italia fuori dalla Nato, o da quelli che sono gli accordi con i nostri partner in Occidente“. Ferma restando dunque la necessità politica di non mettersi contro la base del movimento, appare chiaro come Di Maio stia provando a mediare tra una posizione più responsabile e quella, invece, più chiaramente antiestablishment sostenuta da Alessandro Di Battista e soprattutto Manlio Di Stefano. La conferma, peraltro, arriva dalle due risoluzioni in materia presentate dai cinquestelle in Senato e alla Camera nel 2016: nel documento di Palazzo Madama si chiedeva, infatti, di “promuovere il progressivo disimpegno dei contingenti militari dalle varie missioni internazionali della Nato” mentre a Montecitorio – anche per via dell’intervento di Di Maio – si affermava più tenuemente di “operare nell’ambito del Consiglio contro il rafforzamento della cooperazione UE-Nato“.

IL RAPPORTO CON LA RUSSIA DI PUTIN

Lo stesso schema si può riscontrare anche a proposito di un altro dei temi più caldi di politica estera: il rapporto con la Russia e con il suo leader Vladimir Putin. Da un lato c’è stata e c’è ancora una parte anche rilevante del M5s che chiede di intensificarlo a discapito del nostro tradizionale atlantismo e dall’altro Di Maio. Che sta provando in qualche modo a smussare, pur consapevole di quale sia la posizione prevalente dei pentastellati sull’argomento: “Noi siamo un Paese dell’Occidente che ha sempre avuto relazioni diplomatiche con i Paesi ad Est non indifferenti. L’Italia continuerà ad avere buoni rapporti anche fuori dall’Unione europea e da quelli che sono stati i classici alleati in Occidente. Ben coscienti di dove siamo nel mondo“. Come a dire le relazioni con Putin saranno intensificate senza, però, rinunciare ai consueti assi della politica estera italiana. Confermato quindi il contenuto del documento sull’Unione europea presentato dai cinquestelle lo scorso marzo in occasione dell’anniversario dei Trattati di Roma: “Rimozione immediata delle sanzioni alla Russia, che provocano perdite ingenti all’economia degli Stati membri e in particolare alle piccole e medie imprese“. Ma senza cedere però agli eccessi filo-Putin di Di Stefano, il pentastellato che gode in assoluto dei migliori uffici a Mosca dove, peraltro, è stato ospite in più di un’occasione.

DI MAIO, M5S E L’EURO

La madre di tutte le mediazioni – o delle retromarce, dipende dai punti di vista – è però rappresentata dal posizionamento sull’euro. “Dobbiamo uscire dall’euro il prima possibile“, tuonò ad esempio Grillo il 10 dicembre del 2014. Una frase che oggi appare da preistoria visto che nel frattempo il movimento ha rivisto e corretto abbondantemente il suo atteggiamento. Quando nel marzo scorso presentò il documento sull’Europa dei pentastellati, il vicepresidente della Camera già parlava di referendum sulla moneta unica, da cui uscire quindi solo eventualmente. “Se dovessimo andare al governo, proporremmo un referendum consultivo sull’euro“, disse quel giorno Di Maio, che nei mesi a seguire si è fatto ancora più tiepido su questa ipotesi, compiendo un’altra delle piroette programmatiche elencate ieri da Formiche.net. “Il referendum sull’euro? Solo un’extrema ratio“, ha commentato ad esempio a inizio settembre – ospite del Forum Ambrosetti di Cernobbio – il leader dei cinquestelle. Che nell’occasione spiegò pure come quella strada dovesse essere battuta solo eventualmente, nell’ottica di dare maggiore peso alle rivendicazioni italiane a Bruxelles: “Il referendum sull’euro va usato come peso contrattuale e come via d’uscita nel caso in cui i paesi mediterranei non dovessero essere ascoltati in sede europea, ma noi non siamo contro la Ue“. Stessa versione fornita ieri in un’intervista rilasciata alla tv americana Cnbc, a cui Di Maio ha detto che il movimento non è mai stato contro l’Europa. E che, nel caso di una vittoria pentastellata alle prossime elezioni politiche, cercherà di “rinegoziare i trattati dell’Unione che stanno bloccando la crescita dell’Italia“. Aggiungendo – ha commentato la Cnbc – che il referendum sull’euro rappresenta solo l’ultima spiaggia: “Solo se l’Europa non vorrà cambiare alcunché, specie quelle regole che stanno avendo un impatto negativo sulla nostra economia, chiederemo agli italiani se vogliono rimanere oppure no nella moneta unica. Ma io spero che le istituzioni europee vogliano negoziare un diverso tipo di Unione“.

M5S, ecco come Luigi Di Maio si barcamena su Russia, Nato, Ue e missioni militari

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