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L’integrazione europea nel campo della sicurezza e difesa sta vivendo un momento particolare. Sul piano generale è evidente che alcuni problemi di fondo dell’Unione europea restano irrisolti, in particolare per quanto riguarda l’incerta ripresa economica, la difficile governance dei conti pubblici e il continuo afflusso di profughi. Di qui, nell’ultimo triennio, la crescita di movimenti populisti, inevitabilmente nazionalisti e anti-europei, che continuano a rappresentare un elevato rischio politico, nonostante alcuni crescenti segnali di un loro indebolimento.

Già nello scorso anno molti si domandavano come, in un simile contesto, fosse possibile tornare a parlare di Europa della difesa. Alcuni rispondevano, pessimisticamente, che era un tentativo di sviare l’attenzione europea dai suoi problemi. Altri, più ottimisti, vedevano proprio nella crisi europea la molla di una reazione quasi fisiologica di fronte ai crescenti rischi portati dall’ormai confinante arco della crisi e dal terrorismo di matrice islamica.

Questa seconda interpretazione ha trovato lo scorso anno due importanti conferme: l’approvazione della Eu Global strategy a giugno e, a fine anno, il conseguente Implementation plan on security and defence con cui si sono definiti livelli di ambizione, obiettivi e strumenti per realizzarli; l’European defence action plan approvato a novembre con cui la Commissione ha indicato le misure per favorire l’avvio di nuovi programmi militari comuni di ricerca e di produzione, accompagnando quindi il precedente approccio basato sulla regolamentazione con una politica di incentivi economici, finanziari e fiscali.

Il doppio shock della Brexit e della nuova presidenza Trump ha sicuramente accelerato la successiva evoluzione, consentendo di superare molte delle iniziali resistenze interne europee. I risultati delle recenti elezioni presidenziali e politiche francesi hanno fornito un ulteriore contributo e l’Unione europea o, meglio, il gruppo di Stati membri più interessati e disponibili sembrano adesso pronti per affrontare la sfida di una maggiore integrazione nel campo della sicurezza e difesa.

In quest’ottica vanno valutati i due nuovi documenti presentati all’inizio di questo mese dalla Commissione: una comunicazione sull’European defence fund (Edf) e il Regolamento del defence industry development programme (Didp).

L’Edf destinato a fornire incentivi per l’intero ciclo industriale, coprendo le fasi della ricerca, dello sviluppo e della produzione. Per quanto riguarda le attività di ricerca, oltre ai 90 milioni di euro destinati alla Preparatory action on defence research (Padr) per il triennio 2017-19, saranno stanziati 500 milioni di euro all’anno per l’European defence research program (Edrp) per il periodo 2021-27. L’Ue diventerà così “uno dei maggiori investitori nella ricerca e tecnologia in Europa e il principale investitore nelle attività di collaborazione nella ricerca per la difesa”. Per quanto riguarda le attività di sviluppo, verranno stanziati 250 milioni di euro all’anno per il biennio 2019-20 per il Didp ed è previsto un milione di euro all’anno per il prossimo Multiannual financial framework (Mff). Complessivamente, il contributo finanziario della Commissione per ricerca e sviluppo sarà quindi di 11,1 milioni di euro entro il 2027.

Poiché il contributo della Commissione per il Didp sarà limitato al 20%, il volume degli investimenti generato sarà ogni anno di 1,25 milioni di euro per il biennio 2019-20 e di 5 milioni di euro dal 2021, sicuramente un forte stimolo per l’innovazione tecnologica militare europea.

A questi finanziamenti comunitari si potranno aggiungere quelli per l’acquisizione dei nuovi equipaggiamenti da parte degli Stati membri, favoriti dagli incentivi fiscali e finanziari che dovranno essere definiti l’anno prossimo, superata la scadenza elettorale tedesca.

La Germania, infatti, è diventata, grazie al suo peso economico e al conseguente inevitabile peso politico, l’elemento determinante di questo processo.

Lo stesso nuovo approccio della commissione non sarebbe stato possibile senza una condivisione tedesca: sugli aspetti economici e finanziari, alla fine, l’ultima parola è pronunciata in inglese e francese, ma con un forte accento tedesco, anche nel campo della difesa. Di questo dovrà tener conto anche l’Italia, se non vuole rischiare di rimanere tagliata fuori dalla costruzione di una nuova Europa della difesa.

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